L’altra verità sulla crisi in Egitto
Non si fermano gli scontri in Egitto e dopo lo sgombero dei sit-in nelle piazze Nahda e Rabaa al-Adawiyya l’esercito è intervenuto anche in piazza Ramses liberando la moschea al-Fath dai manifestanti filo-Morsi dopo che alcuni uomini armati avevano aperto il fuoco contro i militari dal minareto dell’edificio. Nella giornata di sabato è, inoltre, giunta la notizia dell’arresto di Mohamed al-Zawahiri, fratello del leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, che aveva recentemente accusato cristiani, laici ed esercito “filo-Usa” di aver organizzato la rivolta contro Morsi. Il governo egiziano sta inoltre valutando la possibilità di sciogliere i Fratelli Musulmani in quanto ritenuti un’organizzazione terrorista, con conseguente confisca dei beni.
“I Fratelli Musulmani hanno perso, hanno perso due volte”, così afferma il noto analista Abdulrahman al-Rashed. Il 14 agosto ha avuto luogo la seconda sconfitta per gli Ikhwan i cui leader sono stati incapaci in di far fronte alle necessità del popolo egiziano durante l’anno di governo Morsi e di cogliere i segnali di allarme che hanno poi portato alle manifestazioni di massa per chiedere le dimissioni del governo e nuove elezioni. La Fratellanza non è riuscita a gestire le proteste popolari cercando di trarne un vantaggio, anche parziale, che li avrebbe comunque messi in condizione di continuare a ricoprire un ruolo di spicco all’interno del contesto istituzionale egiziano.
I Fratelli hanno respinto l’invito da parte del nuovo governo di transizione di entrare nella roadmap e le proposte fatte dalle varie delegazioni internazionali, insistendo sul ripristino di Morsi e della Costituzione messa in piedi dall’ex governo islamista. Una richiesta impossibile da accogliere in quanto contraria alla volontà dei milioni di egiziani scesi in strada per chiedere nuove elezioni. I leader islamisti hanno quindi invocato la resistenza e il ripristino di una democrazia mai esistita sotto quel governo “Ikhwan” andato al potere in seguito ad elezioni tutt’altro che trasparenti e di una Costituzione che non tutelava minimamente le minoranze, che non teneva conto delle varie sfumature che compongono la società egiziana; una Costituzione, tra l’altro, approvata dal 64% dei votanti in un referendum al quale ha partecipato soltanto un terzo degli aventi diritto. Una Fratellanza molto più preoccupata di inserire i propri uomini in posizioni chiave e molto meno attenta alle reali esigenze del popolo che, superato il limite, si è rivoltato.
Il nuovo governo di transizione ha prontamente messo in piedi una roadmap per dirigersi verso nuove elezioni. La Fratellanza, ben consapevole della scarsa popolarità e del disastro elettorale cui sarebbe verosimilmente andata incontro, ha preferito optare per la resistenza facendo riversare i propri sostenitori in piazza Rabaa al-Adawiyya e Nahda e mettendo in piedi dei sit-in che hanno letteralmente paralizzato i due quartieri del Cairo, con enorme disagio per gli abitanti esasperati. Dopo un mese e mezzo l’esercito non ha potuto fare altro che intervenire, ma non prima di aver più volte invitato i manifestanti ad abbandonare le piazze.
Mercoledì 14 agosto i militari sono entrati in azione aprendo un corridoio di sicurezza per far uscire i manifestanti, molti dei quali hanno però preferito asserragliarsi dietro le barricate messe in piedi da settimane con blocchi di cemento e sacchi di sabbia e aprendo il fuoco contro le forze di sicurezza. Una mossa irresponsabile che ha portato i Fratelli Musulmani a una seconda sconfitta in quanto, se prima avrebbero potuto negoziare una ritirata, a questo punto si trovano davanti a uno scontro senza via di ritorno. Hanno scelto la strada della violenza con l’obiettivo di far leva sui media nella speranza di passare per vittime e di guadagnare quindi l’appoggio della comunità internazionale, sperando in pressioni da parte di Usa e Ue per riuscire a tornare al potere. Uno scontro voluto, un invito al “martirio” per ristabilire un presunto “governo islamico”, dimenticando che i milioni di egiziani che hanno sfiduciato il governo Morsi sono anche loro musulmani. E la domanda che ritorna è: sulla base di quale autorità i Fratelli Musulmani hanno la pretesa di rappresentare l’Islam, dal momento che sono entrati in contrasto in più occasioni anche con la stessa al-Azhar, la massima autorità religiosa in Egitto?
Ora dunque i filo-Morsi gridano alla carneficina e alcuni media occidentali sembrano persino disposti a credergli, facendo riferimento per quanto riguarda le notizie al portavoce dei Fratelli Musulmani in Egitto, Gehad el-Hadad. Purtroppo spesso i media occidentali sono scadenti nel documentare le violenze messe in atto dai sostenitori filo-Fratelli, nonostante siano facilmente reperibili filmati e foto di tali personaggi mentre lanciano molotov, utilizzano catapulte, imbracciano armi da fuoco e sparano contro le forze di sicurezza.
Numerose sono poi le vittime decedute a causa delle torture messe in atto a Rabaa al Adawiyya durante i sit-in dei filo-Morsi, presumibilmente nei confronti di oppositori degli islamisti.Drammatica la testimonianza di Ahmed Abdel Ghany, che ha raccontato come suo figlio di dieci anni sia stato attaccato da manifestanti filo-Fratelli che lo hanno colpito con proiettili per uccidere i volatili, con conseguente amputazione di tre dita. All’interno dell’accampamento dei manifestanti sono state ritrovate grandi quantità di armi e delle fosse comuni con all’interno decine di corpi torturati. Tra giovedì e venerdì sono inoltre numerose le stazioni di polizia assaltate dai manifestanti e una quarantina di chiese cristiane sono state date alle fiamme tanto da portare padre Rafiq Garish, direttore dell’ufficio stampa della chiesa cattolica, a una dura condanna nei confronti di Obama: “Da parte di Obama non abbiamo sentito nessuna condanna, o rifiuto, per gli assalti terroristici alle chiese che sono state devastate e bruciate”.
La strategia mediatica.
L’ultima disperata strategia dei Fratelli Musulmani sembra ormai essere quella di provocare le forze di sicurezza obbligandole a rispondere per poi accusarle di carneficina, nella speranza di ottenere quell’appoggio da parte della comunità internazionale che sembra ormai essere l’unico salvagente rimasto all’organizzazione.
I Fratelli hanno dunque perso?
Verosimilmente sì, hanno perso una grande occasione per portare l’Egitto fuori da decenni di regime verso una nuova fase senza precedenti; si sono lasciati scappare la possibilità di diventare i fautori di una storica transizione verso una vera democrazia. In un anno di pessimo governo hanno perso credibilità, popolarità e con la chiamata alla rivolta armata hanno anche fornito all’esercito tutte le motivazioni necessarie per intervenire, seppur in modo molto duro, ma con il pieno appoggio della popolazione egiziana. Se i Fratelli vogliono sopravvivere dovranno cambiare strategia, cominciare a prendersi le proprie responsabilità per quanto è accaduto e sta accadendo, rivedere molto del proprio apparato ed anche della propria ideologia, lasciando spazio ad alcuni gruppi di nuova generazione all’interno degli Ikhwan al-Muslimun che si dissociano dalla violenza, come i “Young MB” e i “MB against violence”.
Un altro punto essenziale verso cui dirigersi sarà la separazione tra politica e religione, senza cui non potrà mai esserci quel “salto” necessario a portare l’Egitto verso una vera democrazia.
Fonte: Diritto di Critica