Alcuni credono che l’empatia sia un sentimento, altri un’emozione, altri ancora un’attitudine volta a riconoscere e segnalare i sentimenti, le emozioni e le attitudini altrui. Oggi scopriremo cosa realmente è l’empatia, cosa voglia dire, come si manifesta e da cosa deriva questo termine così ardentemente e emotivamente complesso.
Significato etimologico di Empatia: cosa vuol dire e da cosa deriva?
Nel 2019 tutti almeno una volta nella propria vita hanno sentito pronunciare o hanno pronunciato a loro volta almeno una parola in greco antico. Per la maggior parte delle persone, probabilmente, tale parola potrebbe essere “pathos”. Il pathos è l’insieme delle emozioni, è un insieme di sentimenti che prova una persona. Esso corrisponde alla parte irrazionale della nostra anima e rappresenta la base del termine che analizzeremo noi oggi. La parola empatia, infatti, deriva dall’unione della preposizione εν che corrisponde alla nostra “in” e, appunto, παθος e letteralmente vuol dire “nel sentimento”, “dentro alle emozioni”. Già nella Grecia Antica, però, siamo in grado di differenziare un termine ben preciso, ἐμπάθειἁ, che rappresenterebbe la capacità di “sentire dentro” e la connessione, durante le epoche antiche, che univa i cantori antichi al loro pubblico che, appunto, manifestava pathos ed emozione di fronte ai cantilenanti racconti. Coloro che hanno frequentato il liceo classico, qualora avessero conservato un dizionario di greco antico, potranno constatare con i loro stessi occhi che il vocabolario Gi, che assieme a quello Rocci hanno fatto impazzire i giovani classicisti con le loro scritte fitte fitte, traduce la parola ἐμπάθειἁ con “affezione” o “sofferenza”. Evidente, durante la medesima ricerca, sarà il ritrovamento del corrispondente aggettivo ἐμπάθής traducibile, a sua volta, con “commosso”, “appassionato”, “sottomesso”; quello del sostantivo τό ἑμπαθές per indicare una “emozione”, la “passionalità” o un “sentimento” e, infine, la voce avverbiale ἑμπαθῶς “appassionatamente”, “con emozione”, “con passione” e, soltanto in alcuni casi come, ad esempio, in alcuni discorsi di Demostene, a tradurre con “pateticamente”.
Leggendo questi approfondimenti sul termine greco risalterà subito agli occhi anche ai meno avvezzi come, di fatto, la radice del termine sia la medesima in qualsivoglia caso e come, nonostante siano passati così tanti anni e siano cambiati i luoghi, le persone, la società e, soprattutto, la lingua, il significato resti, a grandi linee, il medesimo che tale parola aveva in origine.
Una fase di transizione, però, si ebbe nel momento in cui il termine empatia venne riportato in auge dai tempi antichi durante le epoche moderne. Nell’Ottocento, infatti, lo studioso di arti figurative Robert Vischer aveva rimodernizzato il termine facendo in modo che con esso vi fossero riferimenti a problematiche estetiche che riguardassero una connessione fra la mente umana e la natura tutta, compresa la simbologia che essa nasconde.
Il termine tedesco “einfühlung” era stato già utilizzato in precedenza dallo stesso padre di Robert, Friedrich Theodor Vischer, soprattutto in un ambito ricollocabile all’architettura e al concetto ad essa congiunto di idealismo. Ben presto il termine “einfühlung” fu tradotto in inglese come “empathy” variando nuovamente senso e riferendosi, stavolta, alla connessione fra il pubblico e l’opera d’arte osservata tornando, se bene fosse cambiato genere di arte, al concetto di connessione fra cantore (che esprime una determinata e diversa disciplina artistica) e il pubblico, rappresentando, così, l’anello mancante che ci riporta la significato attualmente concepito e utilizzato.
Soltanto in seguito, infatti, il filosofo ed esteta tedesco Theodor Lipps riuscirà a riportare il termine empatia totalmente al significato originale secondo cui la connessione da prendere in considerazione sarebbe quella tra due o più esseri umani, il primo in grado di cogliere i sentimenti, le passioni, le emozioni, gli umori e gli stati d’animo degli altri e viceversa. Lipps riuscì, pertanto, a inserire il concetto con il quale noi siamo soliti definire il termine empatia: l’attitudine tramite la quale ognuno di noi sarebbe effettivamente in grado, in quantità e in qualità diverse a seconda della predisposizione di ognuno, a carpire le emozioni dell’individuo con cui stiamo comunicando, sentendosi in armonia e immedesimandosi con quest’ultimo.
Empatia: il significato del termine nei vari ambiti secondo il dizionario italiano
Appurato l’iter evolutivo del termine “empatia”, occorre specificare cosa effettivamente sia l’empatia. Essa, l’attitudine a immedesimarsi negli altri fino a carpirne e comprenderne le emozioni e i sentimenti provati, varia a seconda dall’ambito a cui ci riferiamo.
Fra questi, l’empatia assume un ruolo di spicco nella psicologia, in particolare rappresenta un cardine in ambito della psicologia della comunicazione per comprendere i vari passaggi con cui ogni individuo arriverebbe a capire il proprio interlocutore anche tramite una comunicazione che non sia prettamente o esclusivamente verbale o gestuale. L’empatia permette, infatti, di capire e di decifrare lo stato d’animo del proprio interlocutore eliminando pregiudizi, opinioni riguardo la moralità dell’individuo con cui ci troviamo a rapportarci o qualsiasi altra propensione affettiva soggettiva, come potrebbe essere un moto di simpatia o di antipatia nei suoi confronti. Proprio per questa ragione l’empatia rappresenta il punto focale di tutto lo studio delle scienze umane: soprattutto nei casi più delicati è possibile servirsi proprio dell’empatia per capire, decidere e, in seguito, procedere con un dato comportamento per rapportarsi, soprattutto, con individui più fragili. L’essere empatici, che sia per spiccate doti naturali o grazie ad uno studio realizzato ad hoc in vista di situazione delicate, può rivelarsi essere la chiave di volta quando si tratta di doversi interfacciare soprattutto con bambini, adolescenti, anziani, persone malate o con traumi dovuti, ad esempio, a situazioni familiari drammatiche o ad incidenti.
Nonostante vi siano studi e tecniche per “imparare” ad essere maggiormente empatici nelle circostanze che lo richiedono le quali non devono necessariamente presentarsi in ambito lavorativo, ma talvolta anche in qualsivoglia occasione della nostra vita, numerose ricerche affermano che l’essere empatici non dipende da un sforzo, quanto dalla propria genetica. “Empatici si nasce, non si diventa”, potremmo quasi affermare.
Essere empatici: significato di empatia nella psicologia, empatia interculturale e moto empatico
Fin dai primi studi portati avanti da Charles Darwin sulle emozioni e la parte irrazionale della nostra anima che si manifesterebbero tramite la comunicazione mimica, ma anche con l’aggiunta di tutte le teorie cognitive di cui Giacomo Rizzolatti si è reso pioniere sui neuroni specchio, sappiamo che l’empatia non dipende da un lavoro di strategia mentale, ma fa parte, proprio come, secondo alcuni, la facoltà di linguaggio, del corredo genetico della specie.
Dagli studi di Darwin di strada ne è stata percorsa parecchia e tanti altri studiosi sono riusciti a dare il proprio contributo ad un tema così affascinante e complesso tanto da riuscire a classificare i vari tipi di empatia conosciuti in ambito psicologico.
Si dice empatia positiva, ad esempio, il processo secondo il quale quando il nostro interlocutore è felice, il soggetto empatico riesce a partecipare senza alcun apparente motivo alla gioia altrui così mentre si dice empatia negativa la situazione nella quale il soggetto empatico non sia in grado di partecipare a tale gioia a causa di esperienze negative che ne hanno segnato il passato.
Soprattutto in un ambito di globalizzazione così avanzato, infine, è importante, se non necessario, contrassegnare i vari tipi di empatia con cui un individuo riesce a connettersi con un soggetto appartenente ad un altro Paese, di lingua differente e con una cultura differente rispetto a quella dell’individuo che manifesta di coglierne le emozioni tramite uno sforzo empatico.
Esistono, nel particolare, quattro tipologie di empatia che caratterizzano i due individui che si trovano a interagire fra loro nonostante la differente provenienza culturale d’appartenenza. Quando l’interlocutore empatico è in grado di comprendere appieno i comportamenti derivanti e accettati, se non addirittura imposti, da una cultura diversa parliamo di “empatia comportamentale”; se il primo soggetto riesce a carpire le emozioni del soggetto appartenente a una diversa cultura siamo soliti definirla come “empatia comportamentale”. Probabilmente più difficoltose da cogliere e da trovare sono, invece, l’empatia relazionale e quella cognitiva che, rispettivamente, trattano della comprensione delle relazioni e degli affetti che il soggetto interlocutore appartenente ad una cultura diversa dal primo soggetto intesse con altri individui appartenenti alla sua stessa cultura e, nel secondo caso, della comprensione verso credenza, ideologia, tradizioni, valori, strutture mentali attivi e vive nella società di appartenenza. Se in alcuni casi sembra realmente impossibile parlare di empatia interculturale sebbene i due individui provengano da società diverse in quanto le differenze risulterebbero davvero minimali, in altri la comprensione che prevede la stessa empatia è facilmente interscambiabile con i concetti di tolleranza e umanità.
Per questa ragione l’empatia gioca un ruolo fondamentale soprattutto nel 2019 e nel ventunesimo secolo, nella grande era delle migrazioni e delle transizioni sociali e geografiche, e proprio per questi motivi essa risulta essere uno strumento attivo e caratteristico di discipline come la psicologia, la medicina e la comunicazione verbale, gestuale, non verbale e non gestuale, ma anche in settori come l’antropologia, le scienze umane e la sociologia.
A differenza del mero altruismo, spesso mosso da un motivo razionale, intellettuale e mentale, l’empatia è allo stesso modo un sentimento volto a comprendere le emozioni in maniera naturale e spontanea, senza vincoli, strategie o studi particolari.