Eugenio Scalfari e la storia d’Italia
Questo sito è nato per “dare voce a chi non ce l’ha” e per esprimere voci che non trovano spazio nel mainstream. Nonostante questo, pubblichiamo l’articolo di un nostro collaboratore su Eugenio Scalfari. Conoscere la sua storia è importante per conoscere la storia di questo Paese, di come è strutturato il potere culturale e i suoi legami con la politica. In particolare, con quella che Fulvio Abbate chiama la “P2 culturale della sinistra“. La storia di Eugenio Scalfari e del “Partito Repubblica-L’Espresso” fa comprendere, infatti, molto bene la deriva culturale e politica della sinistra italiana. Una sinistra passata dalla difesa dei diritti dei lavoratori a quella dei diritti “cosmetici” e che ha avuto il suo approdo finale nel Partito Democratico e in Matteo Renzi. Buona lettura.
La Redazione
Insieme a Indro Montanelli, Giorgio Bocca, Enzo Biagi e Piero Ottone, Eugenio Scalfari è uno dei pilastri del giornalismo di questo Paese. Se ci limitiamo a questa vecchia generazione, la storia del giornalismo italiano contemporaneo potrebbe iniziare con Montanelli, il “principe del giornalismo”, uno che il secolo scorso l’ha vissuto quasi tutto andandosene nel 2001 qualche mese prima del crollo delle Twin Towers di New York. Classe 1909, Montanelli è il più vecchio di questa generazione di osservatori: vive le due guerre, attraversando il Fascismo con cui rompe dopo le guerre d’Etiopia e di Spagna, vede risorgere l’Italia dopo la Resistenza e osserva tutta la stagione della Prima Repubblica sino a Berlusconi, suo editore e poi nemico. Più giovani sono Biagi e Bocca, nati nel 1920, che a loro volta superano di quattro anni Ottone ed Eugenio Scalfari, entrambi del 1924. Direttore del “Secolo XIX” (dal 1968 al 1972) e poi del “Corriere della Sera” (dal 1972 al 1977), Ottone compirà 90 anni il prossimo 3 agosto – e intanto è già uscita una sua autobiografia: Novanta – mentre Eugenio Scalfari li ha compiuti il 6 aprile.
Per raccontare la storia della Repubblica di Barbapapà – questo il soprannome con cui Eugenio Scalfari viene spesso chiamato per la sua candida barba bianca che dà il titolo alla “storia irriverente” di Giampaolo Pansa – non dobbiamo sforzarci più di tanto, almeno se ci limitiamo a raccontarne gli eventi. C’è un Racconto autobiografico (appena uscito da Einaudi), che molti hanno già potuto assaporare all’inizio del “Meridiano” – La passione dell’etica – a lui dedicato (2012). Qui, mescolando quel rigore pulito della sua scrittura giornalistica e la lucida dolcezza del letterato che racconta i propri eventi personali, Eugenio Scalfari ripercorre la propria esistenza, iniziata a Civitavecchia alle 10.30 il 6 aprile del 1924. In questa città, all’ultimo piano di un palazzo ottocentesco, nella piazza centrale della città, nasce da una famiglia di origini calabresi, ma è a Sanremo (dove la sua famiglia si trasferisce nel 1938) che frequenta il liceo classico, compagno di banco di Italo Calvino.
Come Margherita Hack, anche Eugenio Scalfari a causa della guerra salterà l’esame di maturità. Questi sono gli anni – scrive – in cui “il viaggio ebbe il suo consapevole inizio”, gli anni delle letture e dei fermenti intellettuali, e anche dell’incontro con il Fascismo: “Io ero fascista. Ero cresciuto nel fascismo come tutti i giovani della mia età”, ma in qualche modo sarà poi il Fascismo ad allontanarsi da lui, quando nel 1943 il Guf (Gruppo universitario fascista) lo espelle dopo la pubblicazione di alcuni articoli su “Roma Fascista”. All’Università sceglie la facoltà di Giurisprudenza, e al termine degli studi finirà a lavorare in banca, che certo sarà anche “una specie di finestra aperta sulla società”.
Ma il destino di Eugenio Scalfari sembra seguire un altro disegno, simile a quello di un Kafka o di uno Svevo, impiegati anche loro – come racconta Luciano Vandelli in Tra carte e scartoffie (2013) – ma con una vocazione sotterranea per la scrittura, che in Scalfari si configura come “l’impossibilità di fare altrimenti”. Scrittura “in quanto comunicazione e quindi anche insegnamento. Insegnamento delle proprie idee e quindi anche politica”; e così Eugenio Scalfari inizia a scrivere “di economia, di politica, di filosofia. Scrivere e insegnare”. Mettendo tra parentesi l’esperienza adolescenziale di “Roma Fascista”, dobbiamo aspettare il 1947 per la sua entrata nella pubblicistica sulla “Nuova antologia”, con un saggio sulla politica finanziaria della Destra storica. Di qui le sue collaborazioni con il “Mondo” di Mario Pannunzio e con l’“Europeo” di Arrigo Benedetti con cui, nel 1955, fonda il settimanale “L’Espresso”: la linea politica è di centro-sinistra tanto che, con il Partito Socialista, Eugenio Scalfari – che si assesterà su posizioni liberali di sinistra – intraprenderà un’esperienza politica diretta sedendo in Parlamento dal 1968 al 1972.
Il 14 gennaio 1976 esce il primo numero di “Repubblica”: L’amore, la sfida, il destino. Un amore, perché Eugenio Scalfari sogna da anni di progettare un quotidiano nazionale tutto suo, di cui almeno è direttore anche se non del tutto proprietario. Una sfida, perché “Repubblica” nasce un bel giorno, dopo un periodo di propaganda, ma nessuno sa come andrà a finire – senza contare che il “Corriere”, a quell’epoca diretto proprio da Ottone, è un giornale collaudato, vende tanto ed è una vera e propria sfida raggiungerlo. Impresa non impossibile se pensiamo che il primo giorno il quotidiano di Scalfari – che apre con l’incarico a Moro e un’intervista al segretario del Psi Francesco De Martino – vende 300 mila copie; ma che si fa sempre più lontana quando una settimana dopo scende a 70 mila, assestandosi su questa cifra per due anni. Ma il destino che qui entra in gioco è quello di un direttore tenace, imprenditorialmente vincente, che ha già fatto fruttare all’“Espresso”, da direttore, un milione di copie. Ma questa è una sfida più grande, perché “Repubblica” non è un settimanale e ha la pretesa di essere il quotidiano più letto.
Oggi la sfida è vinta: “Repubblica” ha battuto il “Corriere” e, sulla scia del successo raccolto in questi anni, si è collocata sulla strada del rinnovamento. Ha cambiato grafica varie volte, ma credo che il suo successo stia nell’essere riuscita a cogliere, di volta in volta, gli umori dei suoi lettori. E oggi sta imboccando la strada di un nuovo giornalismo, riducendo lo spazio dedicato all’informazione partitica e alle notizie della giornata in generale, e sostituendolo con approfondimenti, reportage e interviste. Mentre lo spazio del commento si è sviluppato, “R2” è diventata più ampia. I giornali, definiti da Hegel “la preghiera del mattino dell’uomo moderno”, stanno cambiando anima e bisogna prenderne atto: non possono più aspirare ad essere la principale fonte di notizie perché ormai il loro posto è stato occupato dai loro siti, questi sì, i veri “quotidiani”. E al quotidiano cartaceo non resta che mettersi l’anima in pace, sperare di non scomparire vista la crisi degli ultimi anni che ne ha drasticamente ridotto le vendite, affrontando il cambiamento, l’unico possibile, prima che sia troppo tardi.
Nel 1996, Eugenio Scalfari passa il testimone della direzione di “Repubblica” a Ezio Mauro (tuttora in carica), ma continua ad esserne editorialista di punta e a tenere, sull’“Espresso”, la rubrica Vetro soffiato. Ogni domenica, sul lato sinistro, c’è il fondo a sua firma che continua nella pagina dedicata ai commenti. È “la messa cantata della domenica”, lo spazio istituzionale riservato al fondatore, col passare degli anni sempre meno formale, nel senso che qui Scalfari parla di politica, di economia, ma anche di tutto ciò che gli passa per la testa. È una sorta di “flusso di coscienza” l’“articolo scalfariano”, cioè – scrive Alberto Asor Rosa nel suo saggio introduttivo al “Meridiano” – “un mix estremamente sapiente di analisi, informazione, intrattenimento e giudizio politico e civile”; e non è strano sentire citare Montaigne o Cartesio e qualche riga dopo leggere una bacchettata a qualche collega o direttamente al presidente del Consiglio.
A partire da questi anni, la scrittura giornalistica – di analisi e di commento dei fatti della politica, dell’economia e della storia – viene completata con un’altra dimensione, che potremmo definire “letteraria”, fatta di riflessione su di Sé e sulla natura umana. Eugenio Scalfari abbandona quel linguaggio tagliente tipico dei suoi scritti più impegnati e dà vita ad una “riflessione saggistica etico–filosofica”: Incontro con Io (1994), L’uomo che non credeva in Dio (2008), Per l’alto mare aperto (2010), Scuote l’anima mia Eros (2011) e L’amore, la sfida, il destino (2013), ovvero “un viaggio dentro me stesso, ma non per tracciare un’autobiografia psicologica, bensì per raccogliere un materiale documentario utile a raccontare la natura della nostra specie”.
Eugenio Scalfari ha scritto moltissimo, ha intervistato grandi personaggi (da Berlinguer a papa Francesco) e ha svolto attività politica, non solo attraverso la penna, ma anche in Parlamento. La sua figura potrà non piacere, il suo narcisismo (di cui del resto non ha mai fatto mistero) potrà irritare: ma le sue idee, proprio perché impresse sulla carta, saranno giudicate dai posteri e potranno essere condivise o criticate. E Scalfari meriterà comunque di essere degno di rispetto: e per la sua storia e per l’influenza che il suo modo di fare giornalismo ha avuto sulle generazioni a venire.