Quanto ci piace stare su Facebook, condividere, mostrarci, apparire al massimo, emergere tra una folla sterminata e multiforme
In realtà su Facebook siamo nudi, ma fingiamo di non vederlo, siamo come il re della favola danese di Hans Christian Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore. Fingiamo perché abbiamo deciso di non vedere.
È strano dire che siamo alla deriva della comunicazione in tempi in cui la comunicazione stessa viaggia a velocità sbalorditive. Ma che il vento di questa folle corsa, poi, ci tolga anche i vestiti, è ben altra faccenda. Dal regolamento privacy di Facebook: «La scelta di pubblicare contenuti sul sito web è a tuo rischio. Nonostante tu abbia la possibilità di impostare delle opzioni sulla privacy per limitare l’accesso alle tue pagine, nessuna misura di sicurezza è perfetta e impenetrabile. Non possiamo controllare le azioni degli utenti con cui hai deciso di condividere le tue pagine e le tue informazioni. Di conseguenza, non possiamo garantire che i contenuti pubblicati sul sito non vengano visualizzati da persone non autorizzate. Facebook non può essere ritenuto responsabile di eventuali elusioni delle misure di sicurezza del sito web o delle impostazioni sulla privacy. L’utente comprende e accetta che, anche dopo la rimozione dei contenuti dal sito, questi potrebbero rimanere visibili nella cache o nelle pagine archiviate o se altri utenti hanno salvato o copiato tali contenuti».
Che cos’è Facebook? O, più in generale, che cos’è un social network? Letteralmente «rete sociale», praticamente un vero e proprio denudamento. È la grande moda degli ultimi tempi, il grande Caffè virtuale dove milioni di utenti possono condividere esperienze personali, interessi, gusti, momenti di vita. Talvolta incrementando interessi già consolidati nella vita reale, altre volte facendo dello «stare insieme» il momento di maggior rilievo, in termini di tempo e di energie quotidiane, complice il fatto che davanti al computer si superano reticenze e imbarazzi dei rapporti reali. Innegabili i risvolti positivi di questa comunità, che diffonde informazioni e conoscenza permettendo uno scambio anche tra luoghi lontanissimi tra loro e in qualsiasi momento (oggi la comunicazione può avvenire anche attraverso il cellulare).
Tanti aspetti positivi, tante barriere abbattute, tanti amici virtuali, ma c’è qualcuno che Facebook non è riuscito a farsi amico: la privacy. Nella rete sociale c’è di tutto, e la condivisione di informazioni è resa facile dal funzionamento e la gratuità del sistema. Ma, al di là di ogni apparente beneficio, c’è ben poco di realmente conveniente. Almeno per noi utenti. E se Facebook si presenta come piazza virtuale, pubblica e gratuita, i nostri profili diventano body scanner e sotto il vestito? Una miriade di dati personali.
Non dobbiamo lasciarci ingannare, Facebook è trascinante, coinvolgente, ma la vanità, l’euforia dell’apparire spesso inducono alla noncuranza, fino a una folle cecità. Siamo come il re della favola di Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore. Il re vanitoso aveva ceduto all’inganno di due imbroglioni che si spacciavano per tessitori, così convinto di indossare un abito dal tessuto formidabile, uscì per le vie della città senza nulla addosso. Il re, fidandosi dell’inganno ordito, credeva di mostrare tutta l’eleganza di quei presunti tessuti, pur se lui stesso non era in grado di vederli. Col nuovo vestito, sfilò nudo di fronte a una folla di cittadini che applaudivano e lodavano a gran voce la sua bellezza. Così siamo noi: ci piace sfilare in rete con la nostra vita privata, sfoggiando foto, video, idee, opinioni, senza curarci di ciò che si vede realmente, pur di imporci tra la folla. La privacy è ciò che sta sotto la superficie. Dietro l’apparenza c’è la vera essenza delle cose, della realtà. È come gli occhi di quel bambino della favola che, in mezzo a una folla complice involontaria di una tale messinscena, gridò esterrefatto: “Ma non ha niente addosso! Il re è nudo!”. Solo lui ebbe l’audacia di parlare, perché l’innocenza, come la verità, è trasparente e cieca ad ogni ipocrisia. Facebook, invece, è come i due imbroglioni, il cui potere ammaliatore supera la gravità degli effetti.
Su Facebook ci si scambia immagini, informazioni, dati di ogni tipo che riguardano noi stessi e gli altri. Si fanno dibattiti, si decantano opinioni politiche, si creano comunità per raccogliere fondi di beneficienza, gruppi di mobilitazione sociale, fan di idoli musicali, ecc. Con poche e semplici immagini e parole diciamo molto di più di quanto non ci competa, siamo noi stessi che permettiamo di denudare la nostra privacy e quella altrui, violando, alle volte senza volerlo, alcuni principi costituzionali.
I nostri dati, la nostra “faccia”, diventano di dominio pubblico e mostrarci in maniera irresponsabile diventa spaventosamente naturale. Due esempi. Nel 2009 una signora fu vittima di un caso di violazione per la pubblicazione di una sua fotografia apparsa sul quotidiano Il Giornale e nel corso dei programmi televisivi Mattino 5 e Tg1. L’immagine era erroneamente pubblicata a corredo della notizia della morte di una sua omonima, una delle vittime del terremoto de L’Aquila. Tale fotografia fu copiata dal suo stesso profilo Facebook e la facilità con cui i giornalisti l’hanno prelevata dal computer e trasportata alla carta stampata e alla televisione fa rabbrividire.
Questo, e altri casi simili, oltre a costituire un disagio psicologico per chi subisce il torto, è anche una violazione delle disposizioni a tutela del diritto alla protezione dei dati personali e dell’identità personale gestita sui social network. Qualche tempo fa, in provincia di Rovigo, una ragazza di sedici anni si è tolta la vita con un colpo di pistola per la vergogna di alcune sue foto osé pubblicate su Facebook dall’ ex fidanzato. Una stupida vendetta, compiuta in due mosse su un social network, e una vita spezzata.
La noncuranza, l’irresponsabilità, così come la vanità possono diventare davvero pericolose. Facebook, come i due imbroglioni della favola, mentre offre grandi promesse e opportunità, toglie qualcosa (o molto) alla nostra persona, alla nostra libertà, alla nostra dignità. Tanto noi ci mettiamo la “faccia”, tanto la perdiamo. Noi che sfiliamo nudi nella grande piazza virtuale dobbiamo essere consapevoli dei pericoli della condivisione on line senza criterio, e sapere che le conseguenze possono avere una risonanza esasperata nello spazio (globale) e nel tempo (praticamente indefinito). Riservatezza e responsabilità sono gli unici abiti possibili da indossare in una folla sterminata come quella di Facebook.