Gianni Rodari: quando l’immaginazione è una piccola rivoluzione

Pubblicato il 4 Apr 2024 - 4:25pm di Emilia Abbo

Gianni Rodari (1920-1980), giornalista e scrittore per l’infanzia che usò la parola come strumento per cambiare il mondo, soprattutto all’interno di una scuola che andrebbe rinnovata.  Anche la fantasia, costruendo una personale utopia, ha questa funzione. I bambini, in particolare, hanno un rigenerante entusiasmo  che supera ogni confine, limite e barriera, fino anche ad includere il mondo intergalattico.

Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 ad Omegna, in Piemonte, sul lago d’Orta. Il padre, Giuseppe, era il fornaio del paese, e nel 1919 si era risposato con una sua commessa, Maddalena Aricocchi, che aveva anche lavorato in Francia come domestica. Gianni ed suo fratello Cesare nascono da questo secondo matrimonio. Gianni frequentò le scuole elementari durante il fascismo ed indossò la divisa di balilla. Era un’epoca in cui tanti suoi piccoli coetanei, invece di frequentare la scuola, lavoravano nelle filande oppure emigravano con la famiglia in cerca di migliori condizioni di vita (per questo troveremo anche una serie di filastrocche dedicate ai treni ed alle stazioni). Quando ha solo nove anni, suo padre si ammala di broncopolmonite e muore. La madre lo porta a Gavirate, vicino Varese, suo paesino d’origine, e qui Gianni – dopo una breve parentesi in un seminario a Seveso- termina le scuole magistrali . Nel 1939 si iscrive alla facoltà di lingue all’università cattolica di Milano, ma abbandonerà gli studi dopo pochi esami. Quando, grazie alla vincita di un concorso, diviene per un breve tempo maestro, si accorge della sua capacità di inventare storie.  Nel 1943, nonostante le cagionevoli condizioni di salute, viene richiamato alle armi. Due suoi cari amici muoiono ed il fratello è internato in un campo di concentramento nazista. Queste circostanze lo inducono ad avvicinarsi al partigianato lombardo e ad iscriversi, nel 1944, al partito comunista italiano. Nel 1947 inizia la sua collaborazione con la redazione milanese dell’ Unità, lo storico giornale fondato da Gramsci nel 1924. Nei suoi articoli Rodari, con  disincantato umorismo, si rivolge anche ai bambini, e pubblica le sue prime filastrocche (che annotava in redazione su dei pezzetti di carta) in una rubrica domenicale. La filastrocca ‘Il bambino di Modena’ è ispirata ad uno sciopero del 1950, causato dai licenziamenti in una fonderia.  Sei operai vennero uccisi dalla polizia e centinaia furono feriti.  Rodari, che era giunto nella città emiliana come inviato, introduce coraggiosamente la tematica dell’ingiustizia sociale nei versi dedicati all’ infanzia:

So che si muore una mattina /sui cancelli dell’officina, / e sulla macchina di chi muore / gli operai stendono il tricolore.

Nel settembre del 1950 Rodari si trasferisce a Roma per dirigere, con la giornalista Dina Rinaldi, Il Pioniere , un giornalino settimanale di sinistra per bambini e ragazzi, così chiamato perchè faceva riferimento all’ A.P.I. (Associazione Pionieri Italiani), che rappresentava i giovani di sinistra del secondo dopoguerra. Su questo giornalino compariva il protagonista di una serie di  fumetti, Cipollino, che vive in un mondo di frutta e verdure antropomorfizzate, dove vengono riprodotte, come in una simpatica satira, le reali ingiustizie sociali e la conseguente necessità di ribellione, ma tutto in maniera pacifica. Rodari, seppur comunista e già famoso in Unione Sovietica, si schierò contro l’invasione russa a Budapest del 1956, poiché riteneva che le divergenze ideologiche non si potessero sanare coi carri armati. Se Christa Wolf, nel 1963, parlerà di un cielo diviso, per Rodari invece il cielo rappresenta il colore azzurro, ed è quindi è legato al Blaue Blumen di Novalis, uno scrittore che lo ispirò, e che legava questo colore   alla dimensione del sogno, del romanticismo, dell’immaginazione. Il cielo, quindi, che si offre indistintamente e generosamente alla contemplazione umana, è ancora immune dalle grette divisioni che riguardano la terra, ormai ‘tutta a pezzetti’.

Il genere fumettistico veniva ritenuto dai dirigenti del P.C.I. un’americanata poco istruttiva, ma per Rodari inventare un fumetto non era affatto semplice, ed era quindi un’impresa istruttiva, non diseducativa. Inoltre, il fumetto mette in moto l’immaginazione poichè, al contrario che al cinema o alla tv,  fra una vignetta e l’altra ci sono passaggi non espressi (ad esempio, se un uomo cade da cavallo, lo vediamo a terra, ma la caduta la possiamo solo ricostruire mentalmente).

In questo periodo l’autore scrive anche ‘Le carte parlanti’ (che ci riportano al ‘Castello dei destini incrociati’ di Calvino) e ‘Gelsomino nel paese dei bugiardi’, il cui protagonista è un bimbo che, come Oskar del Blechtrommel (Il tamburo di latta) di Gunter Grass, ha una voce che spacca i vetri, simbolo di protesta sociale ancor più che esistenziale. Quando i comunisti, dopo la sconfitta elettorale del 1948,  vengono scomunicati, anche Il pioniere è bruciato sulle pubbliche vie. Nel 1953 Rodari sposa Maria Teresa Ferretti, militante comunista, e nel 1957 nasce la figlia Paola.

Rodari rivisita le fiabe, come Calvino ne I nostri antenati rivisitava la storia, ed immagina che le fate siano ormai ‘disoccupate’, poiché la gente è troppo presa da problemi pratici , dalle tasse fino alla guerra, per ascoltarle. Non a caso, nella sua versione moderna di Pinocchio, la fata dai capelli turchini non compare. Pinocchio, come scrive a Calvino nel 1948,  gli piace per la sua insubordinazione, e poi anche perché Collodi lo inserisce nella sua realtà paesana, e non in un mondo puramente immaginario. Pinocchio nasce fra gente povera ed artigiana, e deve inserirsi in una scuola repressiva e tradizionalista. Pinocchio è anche tenero, poetico, suscita commozione,  e va oltre il semplice intento educativo. Collodi comprende le ragioni dell’infanzia, tanto che il grillo parlante sembra più retorico che pedagogico. Nella raccolta Tante storie per giocare Pinocchio, nel racconto a lui dedicato, è ritratto come un furbo trasferito nella contemporaneità dell’autore, dove le bugie non sono solo marachelle, ma simbolo di disonestà imprenditoriale e politica , che prospera con la demagogia ed approfittando dell’ altrui ingenuità.   La svogliatezza di Pinocchio, che marina la scuola, qui non è più sete di vita e di divertimento, ma l’ignoranza degli arricchiti e di coloro che vengono immeritatamente innalzati agli allori.

Rodari pensa che quando si parla ai bambini, o di bambini, sia giusto esagerare, non porre limiti in senso quantitativo. Per questo, nella fiaba ‘Piovono cappelli’,  avviene che nella milanese Piazza Duomo cada dal cielo una pioggia di cappelli, o meglio, una nevicata, dato i cappelli scendono dal cielo ondeggiando, con una bella immagine di leggerezza, che accarezza poeticamente la fantasia. Tutti provano i cappelli, che sono di diversa foggia e dimensione, e li portano a casa, fra lo sgomento e la rabbia dei commercianti.  Nel finale preferito dall’autore i cappelli, come sono arrivati, poi volano via, come uno stormo di rondini che evoca l’Italia emigrante. Un’altra volta cadono ombrelli e poi cioccolatini, cravatte, pastelli, dadi in pacchi da cento, perfino giradischi e frigoriferi. Alla fine piovono ‘alberi di Natale carichi di ogni sorta di doni’. Si, perché Rodari sa che, per far felice un bimbo bisogna far leva sul suo bisogno di pensare in grande, in maniera sconfinata. Il senso dell’abbondanza va poi unito all’ elargire gratuitamente, o meglio, generosamente. Se questo non avviene, anche a causa dell’ aridità interiore degli uomini ed in particolar modo dei governanti, che preferiscono spendere in armamenti (facendo quindi cadere dal cielo proiettili ben più pericolosi di un pesante frigorifero!) bisogna farlo attraverso il racconto, avvolgendosi nella coperta dell’immaginazione.

Per Rodari la scuola non può essere definita tale se non tiene conto del benessere interiore degli alunni. E’ necessario insegnare le varie materie ma anche ascoltare quello che i bimbi vogliono dirci, lasciando fluire liberamente la loro personalità, le loro opinioni,  loro parte emotiva e creativa.  Nell’amaramente ironico racconto ‘Il palazzo da rompere’ Rodari parte dal presupposto che i bimbi – a causa di metodi educativi che dovrebbero essere ormai antiquati, ma che invece sussistono, e che li costringono a stare sempre fermi ed in silenzio – abbiano accumulato rabbia repressa. I genitori, a Busto Arsizio, si rivolgono al sindaco perché non vogliono più che i bambini, muovendosi liberamente, rompano oggetti. Allora viene inventato un palazzo da rompere, affinchè i piccoli, dopo che si sono sfogati, ‘guariscano’ e diventino docili ed ubbidienti, o meglio ‘delicati e leggeri come farfalle’. Ed aggiunge, con amara ironia, il narratore: ‘ed avreste potuto farli giocare a calcio su un campo di bicchieri di cristallo che non ne avrebbero scheggiato uno solo.’ Quel che resta del palazzo da rompere viene poi messo a disposizione dei frustrati cittadini, professionisti a tutto tondo che, se non usurati nel corpo, lo sono sicuramente nella mente:

“Allora si videro certi signori con cartella di cuoio e occhiali a lenti bifocali –magistrati, notai, consiglieri delegati – armarsi di martello e correre a demolire una parete o smantellare una scala, picchiando tanto di gusto che ad ogni colpo si sentivano ringiovanire.” (G. Rodari ‘Un palazzo da rompere’  Favole al telefono,  Einaudi Ragazzi, Torino: 2010, p.22)

Alla fine, ‘il ragionier Gamberoni’ calcolò che la città aveva risparmiato ‘due stramilioni e sette centimetri’ (qui viene usato il nonsense a fine ironico) e, naturalmente, ebbe una medaglia ‘con un buco d’argento’.

Il pianeta degli alberi di Natale è un  racconto che viene pubblicato su Paese sera nel 1959 e che poi diviene libro per l’infanzia (con l’aggiunta di una parte finale) nel 1962. Parla di un bambino che si chiama Marco e che vive nel quartiere romano di Testaccio. Il giorno del suo compleanno, che ricorre il 23 ottobre (come quello dell’autore), gli viene regalato un cavallo a dondolo, dono che il bimbo non gradisce molto, ma che ad un certo punto si innalza a tutta velocità verso la luna, fino ad atterrare, grazie ad una navicella spaziale, su un pianeta nel quale è sempre Natale in un clima primaverile. Ogni casa, come ogni viale, ha il suo albero che produce anche gli addobbi, come se fossero fiori che si aprono da una gemma. Marco, in questo pianeta, viene accolto da un coetaneo di nome Marcus, e si rende conto che vigono regole molto diverse rispetto a quelle terrestri. Si entra nel nonsense di marciapiedi scorrevoli, di negozi senza vetrine, dove ognuno può servirsi gratuitamente prendendo ciò che preferisce, di ‘staccapanni’ nel giardino d’inverno, dove i bambini possono prendere caldi cappotti, di statue che si sciolgono, di robot che alleviano le persone da lavori gravosi , di cani feroci (gli ‘Arcicani’) che attaccano il pianeta ma non vengono mai combattuti con le maniere forti, bensì inventando per loro un grande osso (l’ ‘Arciosso’) che possa distrarli, ed anche di governi che vengono affidati ai bambini, che sono senza dubbio,una volta educati nella maniera giusta,  più sinceri, affidabili e leali dei politici.  Marco comprende poi che il suo  arrivo in qual paese non è stato casuale, bensì organizzato dagli abitanti per far sì che, qualora un giorno tornasse da adulto, come astronauta, lo facesse in termini di amicizia e nel rispetto di usanze già apprese. Marco torna a Roma con l’intento di trasferire questa bellissima utopia anche sulla terra, un’impresa difficile, ma non impossibile.

Quando Rodari inizia a collaborare con la casa editrice Einaudi, lascia da parte le sue inclinazioni politiche e si rivolge a tutti i bambini (il pittore Bruno Munari curerà la parte grafica). Le sue Filastrocche in cielo e in terra (1960) le definisce divertenti ma anche ‘utili come il pane’. Parla di quel che serve a rendere felici i bambini poveri, come ad esempio le vacanze al mare. Si parla di inclusione (bambini di tutto il mondo che fanno un gran girotondo su paralleli e meridiani), di speranza che non vi siano più guerre (la pace è come un ‘arcobaleno senza tempesta’)  e trapela anche una certa simpatia per la tecnologia (come i bimbi di oggi insegnano ai nonni ad usare internet, così nella filastrocca di Rodari il nonno va in motorino per velocizzarsi, per andare al passo coi tempi).  Anche le ricerche spaziali riscuotono la simpatia dell’autore, se servono ad uscire da una mentalità gretta e ristretta, che non partecipa emotivamente a quel che accade in luoghi lontani. La luna, i cui raggi viaggiano ‘senza passaporto’, rendendo la luna di Kiev bella come quella di Roma, rappresenta – in un’epoca in cui il satellite è meta di cosmonauti sia sovietici che statunitensi –  uno spazio ancora incontaminato, una sorta di speranza per ricominciare daccapo, senza spartizioni di territorio, senza divisioni fra paesi ricchi e paesi poveri. Emerge anche l’orgoglio di chi non vuole darla vinta al capitalismo, a chi pensa che tutto si possa acquistare:

“Prima classe, il passeggero / è un miliardario forestiero / ‘Italia bella, io comperare’, / quanti dollari costare?” / Ma il ferroviere, pronto e cortese: / ‘Noi non vendiamo il nostro paese'” (G. Rodari, ‘Terza, seconda, prima’,  Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi Ragazzi, Torino: 2011, p. 120)

Solo i bimbi, essendo al di sopra della logica della corruzione e dei giochi di potere, possono avere la luna in affido. La luna è bambina, quindi volta   al futuro, rappresentando una scuola rinnovata, dove osservare alla finestra l’inverno, personificato in un gatto, non è distrazione, ma vero spunto di apprendimento. Luna non è solo nostalgico passato ma spinta verso il futuro, in un processo di conoscenza che poi non terminerà mai. L’aritmetica di oggi, del resto, non sarà altro che i conti da bilanciare di domani.

Nella filastrocca ‘La luna al guinzaglio’, l’autore immagina che la luna si affidi ad una bambina ‘savia’ come se fosse un docile cagnolino bianco o come un palloncino tenuto per il filo. La luna con la bambina è buona perché sa che non potrà farle del male, portando sul suo pianeta le stesse discordie che esistono sulla terra (ricordiamo che quando il satellite fu meta di esplorazioni spaziali, venne considerato un terreno su cui si potevano svolgere ‘prove di guerra’, anche con le bombe atomiche).  I bambini per Rodari nascono evoluti, e solo a contatto con gli adulti si guastano, quindi non possono che portare qualità positive su un nuovo pianeta, ancora incontaminato come la loro anima.

Rodari non si ritiene un poeta e sa bene che le sue filastrocche risultino semplicistiche, puerili, eppure è anche consapevole che possano far nascere piccoli germogli orientati al cambiamento. Il suo libro ideale sarà infatti quello ‘micidiale’ per il classico rappresentante di commercio, che mentre viaggia cerca letture frivole e superficiali, scacciapensieri.

Nel 1961 nasce il personaggio di Alice Cascherina, che ha qualche punto in comune con l’ Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carrol, scritto nel 1865.  Alice, che nel suo sogno parla e agisce senza il filtro del buonsenso,  diventa piccola e grande, e quindi riesce a vedere la realtà da una diversa prospettiva. Alla fine il mondo inanimato delle infuriate carte da gioco prende il sopravvento, come in un carnevale che, in quanto tale,  deve avere un termine (il risveglio, il ritorno alla realtà) per ricostituire l’ordine gerarchico, che qui è convenzione vittoriana, ma anche prevalere della logica sul nonsense.

L’ Alice Cascherina di Rodari cade ovunque, nel taschino della giacca, nella sveglia, nella valva della conchiglia, quindi anche per lei in un certo senso gli oggetti fanno da padrone, finchè riesce a liberarsi  oppure è lei stessa che decide di tornare nel rassicurante ambito domestico, che segna la fine del ‘carnevale’.  Alice viene poi italianizzata ed anche inserita nel Novecento. Quindi il mondo inanimato può, in questo nuovo contesto, rappresentare il potere della tecnologia.

In Favole al telefono (1962) troviamo la cornice di un papà lavoratore, rappresentante farmaceutico, che telefona alla sua bimba ogni sera per raccontarle una breve favola, ed anche le centraliniste si fermano per ascoltarlo. Sono favole circostanziate, che possono descrivere la realtà ancor meglio di una notizia di cronaca. Quando vince il premio Andersen, nel 1970, Rodari afferma che la fiaba, luogo di tutte le ipotesi, ‘ci può dare le chiavi per entrare nella realtà per strade nuove.’ (cit. da V. Roghi, Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari. Editori Laterza, Bari: 2020, p. 179)

Rodari immagina, ad esempio, che sulla spiaggia affollata estiva di Ostia arrivi uno strano personaggio, che ha un ombrello volante, e quindi può mettersi  in riva al mare, sospeso sugli altri ombrelloni. Mentre Rodari racconta questa favoletta, basata sul nonsense, descrive la spiaggia ed i bagnanti con gli occhi di un cronista, trasmettendone lo spirito,e si capisce quindi che anche lui vi era stato di persona, osservando ciò che avveniva intorno a lui. Realismo e nonsense devono, quindi, andare a braccetto, compensandosi ed alleggerendosi a vicenda.

Un altro esempio di nonsense è la favola ‘Il paese senza punta’, ma qui all’assurdità si affianca il tema dell’autorità, ovvero se sia lecito o no opporsi ai pubblici ufficiali quando le leggi sono ingiuste. La punta è legata alle matite dell’infanzia ma sono anche qualcosa di offensivo, che fanno male. Un paese senza punta, dove perfino i tetti finiscono con una ‘gobba dolcissima’, sarebbe un paese pacifico, se non esistesse, nel contesto del nonsense, una regola anomala e crudele (che impone di schiaffeggiare la guardia che fa la multa) ed alla quale è quindi giusto opporsi.

Nel ‘Topo dei fumetti’ il mondo dei topi antropomorfizzati, antichi come Esopo, viene contaminato da quello più moderno dei fumetti, e quindi il problema che si pone è quello della comunicazione, che può essere inteso anche anche fra diverse generazioni. Il topo che parla il linguaggio diverso, oggetto di bullismo, viene escluso ed incompreso, tanto che finirà per allearsi col suo nemico storico, il gatto dei fumetti, pur di farsi finalmente comprendere in terra straniera:

“La tribù dei gatti veri lo aveva cacciato perchè non riusciva a fare ‘miao’ come si deve. I due deleritti si abbracciarono, giurandosi eterna amicizia e passarono tutta la notte a conversare nella strana lingua dei fumetti. Si capivano a meraviglia.” (G. Rodari, ‘Il topo dei fumetti’, Favole al telefono, ed.cit., p. 52)

La favola del giovane gambero che impara a camminare in avanti tocca poi il tema dell’ anticonformismo e della ribellione alle precedenti generazioni. Il gambero preferisce snaturarsi, sembrare un eccentrico,  pur di essere libero. Non vuole essere come gli altri, o come chi vi era prima di lui. Camminare in avanti significa progresso, azione, cercare l’avventura, il rischio, l’idealismo, non avere paura a sfidare le convenzioni ed i luoghi comuni. In una conferenza a Ferrara nel 1962 Rodari si riferisce a questo racconto per parlare della propensione infantile alla disubbidienza e conclude dicendo:

“Credo che oggi sia più importante contribuire alla liberazione del bambino che al suo docile inserimento in un mondo già bello che fatto.” (cit. da V. Roghi, ed.cit.,p. 141) .

Anche la favola, dunque, può diventare uno strumento per salvare “quelle energie vitali, quegli slanci attivi, quell’intensità di passioni e di forza morale che il bambino mette nei suoi giochi e, molto meno, purtroppo (ma non è colpa sua) nei compiti a scuola, nei doveri in cui via via s’imbatte.”(id., p. 42).

Il pulcino cosmico,che esce fuori da una navicella spaziale camuffata da uovo di cioccolata, sa che un bimbo terrestre arriverà un giorno sul suo pianeta, e quindi affronta il delicato problema dell’educazione, del sapersi comportare con rispetto in terra straniera.  Il racconto sottende a temi delicati come l’espansionismo, il colonialismo ed il capitalismo. Il pulcino cosmico pensa che il maggior errore di insegnanti ed educatori sia quello, sostanzialmente,  di non abituare i bambini, cittadini dell’universo, all’idea di viaggiare fra le stelle in termini di amicizia.

Se la Montessori incitava a trovare la propria naturale vocazione, collocandosi nel cosmo ecosistemico, Rodari incita a migliorare il pianeta, mettendolo a servizio dell’ uomo, ma sempre nel rispetto della natura e del suo progetto originario.

Il libro degli errori (1966) si riferisce ai classici strafalcioni ortografici (e non solo) al fine di trovare in essi un lato positivo, creativo, geniale, ma anche al fine di sdrammatizzarli, poichè esistono errori ben più seri di una parola senza accento o senza la doppia consonante. La critica è verso una scuola che valorizza più la forma del contenuto, e quindi che ‘trattiene e valorizza i ciottoli, lasciando passare l’oro’ (cit. da Roghi, p.146). Facendo un esempio che si addice ai tempi attuali, è noto come gli insegnanti, e gli educatori in genere, stigmatizzino il genere di musica rap come antipedagogica, soprattutto per via della terminologia di cui si avvale. Tuttavia, se si vuole introdurre un adolescente a tematiche importanti  come il disagio sociale, il bullismo,il razzismo, l’immigrazione, senza dubbio il rap è il canale comunicativo più gradito, diretto ed immediato.

Rodari si diverte, a volte, a trovare uno spunto ideologico nell’errore. l’ ‘italia’ con la ‘i’ minuscola, ad esempio, rappresenta l’ italietta mediocre, qualunquista, ma anche povera ed arretrata, laddove l’ ‘Itaglia’ con la ‘g’ diventa l’ Italia nazionalistica, patriottica, nutrita di ignoranza ed arroganza. Un gatto senza la ‘t’ è un gatto indebolito (con tre zampe, un solo baffo e cacciato dai topi),  un cuore con la ‘q’ ha bisogno di vitamina c. Anche lui si diverte ad inventare errori, come quando cambia il mito del re Mida ed anche di Pigmalione. Nel caso di re Mida il mito è dissacrato da un linguaggio poco aulico, ma che diverte molto i bambini (tutto quel che Mida toccherà prima di tornare ‘normale’ non sarà oro, ma cacca di mucca!). In questo libro Rodari inventa il professor Grammaticus, versione ironica del docente pignolo e maniaco degli errori ortografici (in un’epoca come la nostra, dominata dagli errori ortografici da tastiera, che ha anche ormai eliminato la distinzione fra maiuscola e minuscola, sarebbe difficile dire quali errori nascono da fretta e distrazione e quali da pura ignoranza).   In un racconto Rodari immagina che il prof. Grammaticus abbia la ‘macchina ammazzaerrori’, una specie di aspirapolvere che si attiva, dando una sberla, ogni volta che una parola viene pronunciata in maniera scorretta, e che alla fine verrà rotta in questura quando impazzisce a sentir tutti gli errori dialettali degli agenti di diversa provenienza geografica:

“C’erano in questura, tra gli agenti, torinesi, siciliani, napoletani, genovesi, veneti, toscani. Ogni regione d’Italia era rappresentata. Rappresentata anche se, s’intende, da tutti i difetti di pronuncia possibili e immaginabili. La macchina era scatenata, impazzita. Fu ridotta in silenzio a martellate, non ne rimase un pezzetto sano.'”(G. Rodari, ‘La macchina ammazzaerrori’, Il libro degli errori, Einaudi Ragazzi, Torino: 2011, p. 57)

Rodari pensa che dagli errori possa nascere qualcosa di bello ed insostituibile come la torre di Pisa, ed i difetti non sono un qualcosa da correggere, ma solo portavoci della nostra unicità (il tema dell’inclusione era molto sentito in un’ epoca in cui la scuola media unificata avrebbe fatto convivere classi sociali diverse, nello specifico i ragazzi destinati al liceo con quelli indirizzati alla scuola tecnica o direttamente al mondo del lavoro).  Il più grande errore è proprio quello degli insegnanti, che fanno piangere i bambini per gli errori ortografici, quando invece si può imparare divertendosi, con anche un pizzico  di ironia:

“Se si mettessero insieme le lacrime versate nei cinque continenti per colpa dell’ortografia, si otterrebbe una cascata da sfruttare per la produzione dell’energia elettrica.” (G. Rodari, ‘Tra noi padri’ Il libro degli errori, ed.cit.,  p. 9).

L’errore può diventare spunto per trattare con leggerezza anche argomenti scomodi, che si tendono a celare all’infanzia. Ad esempio, un certo Enrico corregge la morte , che sbaglia un passato remoto sulla sua lapide (morse invece di morì). Allora la morte si vergogna al tal punto da fuggire, e da non tornare mai più, rendendolo immortale.  La ‘torta in cielo’ parla invece di un sogno. Uno scienziato voleva lanciare una bomba sulla terra, ma si sbaglia e invece dell’esplosione arriva un’enorme torta di cioccolato. Purtroppo la realtà è più amara di questo sogno. La bomba atomica è stata lanciata davvero, e non è stato affatto un sogno, ma Rodari voleva introdurre questa tematica in maniera graduale, attraverso il nonsense stemperato dal contrasto fra sogno e realtà.

Nel 1967  Rodari, sul filone fantascientifico, pubblica Gip nel televisore ed altre storie in orbita. Il racconto principale ed originario risale al 1962 e parla di un bimbo teledipendente, Gip, che rimane intrappolato nella tv,  diventando un segnale elettronico che viaggia nell’etere.  Grazie all’aiuto di uno scienziato giapponese (il quale farà in modo che tutti  i televisori della terra ricevano lo stesso segnale nello stesso istante) Gip riesce a liberarsi ed atterra con una capsula spaziale a Roma, vicino al Colosseo. In un altro racconto, ‘Avventura col televisore’,  contenuto nella raccolta  Tante storie per giocare (1971), sono invece le persone di cui parla il telegiornale che irrompono nel salotto di un certo dott. Verucci, il quale poi comprende che non basta spegnere la tv per lasciare fuori di casa i problemi del mondo, della nostra casa comune, la terra. La ‘globalizzazione’ televisiva ha quindi il pregio di informarci su tutto, permettendoci di metterci nei panni di chi è lontano da noi. Queste innovazioni tecnologiche gli piacciono, non bisogna rimpiangere sempre il passato, perché la nostalgia ci fa spesso dimenticare quello che c’era di brutto prima. Le macchine possono anche facilitare la nostra vita, non bisogna temere che soppiantino l’uomo, e possono aiutare i maestri a lavorare meglio.  Rodari probabilmente approverebbe le L.I.M., anche perché sapeva quanto bambini siano incantati dalla ‘magia’ nella tecnologia, da ciò che si accende e si spegne, e quindi anche da un’aula più ‘elettrificata’.

Rodari, come la Montessori e Don Milani, era contrario ai voti ed anche alle bocciature, che erano solo una selezione ingiusta per far avanzare gli alunni delle classi sociali medio- alto borghesi e far abbandonare la scuola agli alunni proletari, che solitamente erano anche più turbolenti poichè abitavano in zone disagiate, anche ad alto tasso di criminalità. Il ragazzo che abbandonava la scuola, e che rischiava di cadere nella spirale della delinquenza, per i docenti era un problema in meno, un modo per mantenere il quieto vivere e di inculcare comodamente nozioni a debita distanza. Questa era una vergogna, invece, la grande piaga del sistema scolastico. Gli insegnanti erano quindi non solo severi ed ingiusti, ma anche vittime dei loro preconcetti, tanto da tradire una missione che richiederebbe invece coraggio, supporto, empatia:

“Distruggere la prigione, mettere al centro della scuola il bambino, liberarlo da ogni paura, dare motivazione e felicità al suo lavoro, creare intorno a lui una comunità di compagni che non gli siano antagonisti, dare importanza alla sua vita e ai sentimenti più alti che dentro gli si svilupperanno, questo è il dovere di un maestro, della scuola, di una buona società.” (cit. da V.Roghi, ed.cit.,p.158)

Se i bambini avessero trovato una scuola piacevole, divertente, collaborativa, che non sopprimeva i loro spontanei slanci,  si sarebbero sentiti motivati. Però Rodari pensava anche che la scuola dovesse essere attrezzata, con biblioteche, enciclopedie per tutti, anche tempo pieno. La scuola non doveva distinguere fra materie di serie A e materie di serie B. Tutte erano necessarie per far emergere dei talenti. Era contrario ad una scuola puramente nozionistica, che metteva in secondo piano il benessere sia fisico che psicologico del bambino. Vedeva anche che i genitori, soprattutto se non erano a loro volta istruiti, avevano molta difficoltà a comunicare con le istituzioni scolastiche ed anche a comprendere le circolari ministeriali. Rodari appoggiava le manifestazioni studentesche perché erano una porta aperta al cambiamento. Pensava che il silenzio, il non esprimere le proprie opinioni,  fosse la cosa peggiore, e fin da piccoli si veniva abituati a tacere, anche col gioco che serviva a tener zitti gli scolari. Non si veniva abituati alla messa in discussione, perché si temeva una scuola che incoraggiava  gli alunni ad essere consapevoli di se stessi e dei loro diritti.  Una scuola antidogmatica è anche quella che apre le porte, che non è una prigione, che porta i bambini a contatto col mondo esterno, con la natura, per divagarsi ma anche per imparare.  Per Rodari, se i bimbi dovevano scrivere un tema, questo andava fatto con cognizione di causa. Se, ad esempio,  dovevano parlare di una mucca, dovevano andare in campagna e vederla, conoscerla ‘dal vivo’.

Gianni Rodari  accedeva alle aule scolastiche per trovare spunti ai suoi libri, per dialogare coi bambini, ed anche  per comprendere se quello che aveva scritto poteva risultare a loro gradito, e quindi sapeva bene come le scuole non dovessero diventare ambienti asfittici, sia in senso centripeto che centrifugo.  ‘Distruggere la prigione’ implicava quindi  che i bambini uscissero, ad esempio con lezioni all’aperto e gite,  ma anche che scelte rappresentanze del mondo esterno varcassero i cancelli scolastici, per permettere un confronto che non era solo quello con i soliti insegnanti. La Montessori, che aveva incoraggiato il dialogo fra bimbi di età diverse nell’ambito della stessa scuola, già era stata molto innovativa, quindi si può immaginare come l’idea di mettere i bimbi a contatto con qualcuno che proveniva dal di fuori delle mura scolastiche, seppur in ambito controllato,  potesse essere accolto con paura e sospetto. La morbosità iperprotettiva nei riguardi dei piccoli, che in questo modo diventavano dei piccoli detenuti,  nasceva da un’irrazionalità nevrotica generata dall’automatismo. I maestri severi ed autoritari, sul modello del libro Cuore di De Amicis (un testo che Rodari detestava cordialmente)  si ripercuotevano negativamente sulla spontanea fiducia e serenità del mondo infantile.  Nel racconto ‘Il filobus numero 75’, il tram devia dal suo percorso il primo giorno di primavera ed i lavoratori stanno qualche ora a contatto con la natura, distraendosi dal tran tran quotidiano. Fra loro ci sono due impiegati del ministero dell’istruzione, sui quali l’autore ironizza:

“I due impiegati del ministero dell’ istruzione appallottolarono i loro giornali e cominciarono una partita di calcio. E ogni volta che davano un calcio al pallone gridavano: ‘Al diavolo!’ Insomma, non parevano più gli stessi impiegati che un momento prima volevano linciare i tranvieri.”  (G. Rodari, ‘Il filobus numero 75’, Favole al telefono, ed.cit., p.132).

Questa comitiva può elevarsi a  simbolo di una scolaresca che esce dalla sua routine giornaliera, ma fa anche comprendere che sono gli educatori i primi ad aver bisogno di ore di svago che generino gentilezza, dolcezza, pazienza. Il vero educatore è colui che non scarica le sue tensioni ed i suoi meccanismi ossessivi sui bambini, ma che va al lavoro sereno, rilassato e preparato. E’ colui che non vede i bimbi come parte di una quotidiana routine, ma come una scoperta continua. E’ colui che insegna ai bimbi a collaborare, a cooperare dando il buon esempio, e non emulando una società sempre più arrivista e competitiva. E’ colui che non segue passivamente i programmi ministeriali, ma che mette qualcosa di se stesso in ciò che insegna, stimolando le menti ed il senso critico.

La grammatica della fantasia (1973) è un saggio dedicato alla città di Reggio Emilia, simbolo del tricolore e del partigianato (Rodari, nel 1955, aveva dedicato una poesia ai fratelli Cervi, uccisi per rappresaglia dai fascisti il 28 dicembre del 1943). Si tennero cinque incontri in questa città, dal 6 al 10 marzo 1973, con gli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria e media. La ‘fantastica’ serve ad aiutare i bimbi ad inventare le loro storie, sviluppando la loro intelligenza creativa, attraverso delle tecniche, di cui ne  illustrerò brevemente alcune, applicandole alla scuola di oggi.

Il binomio fantastico > consiste nell’ inventare una storia collegando con una preposizione due parole che non hanno nulla in comune. Ad esempio: Il cane nell’armadio. Dal nonsense di un uomo che torna a casa e trova un cane nell’armadio potrebbe nascere lo spunto per un racconto a sfondo animalista (da dove proviene questo cane? E’ stato abbandonato in strada? Avrà il microchip?). Gli animali non sono come giocattoli, che arrivano a Natale e si buttano con le prossime vacanze estive. Avere un cane è una responsabilità seria e duratura.

Anche nel nonsense va cercata una causa-effetto.  Ad esempio, se l’eroe passa sotto un ponte immaginario, di un paese lontano, d’oro e tempestato di pietre preziose, può acquisire poteri magici, ma se torna indietro, i poteri li perde nuovamente, quindi se va dal punto A al punto B, succede qualcosa, se invece va dal punto B al punto A, si ripristina situazione iniziale (Rodari, a questo proposito, si riferisce al racconto di un bimbo, che aveva creato un collegamento fra ‘luce’ e ‘scarpe’. Se il papà aveva le scarpe, si ‘accendeva’, se toglieva le scarpe, si ‘spegneva’).

Ipotesi fantastica > ‘Cosa succederebbe se un coccodrillo partecipasse a Rischiatutto?’ Un’analoga situazione si potrebbe applicare ai tempi attuali:  ‘Cosa succederebbe se il gatto con gli stivali andasse al Grande Fratello Vip?’ (Essendo machiavellico, inventerebbe strategie per  vincere). E se la Bella Addormentata fosse su Facebook? (Non sarebbe risvegliata da un bacio, ma da un ‘mi piace’ o da un cuoricino sul profilo).

Deformare le parole > Lo ‘scannone’ serve a disfare la guerra, lo ‘staccapanni’ a distribuire cappotti in inverno a bambini poveri, la ‘maxicoperta’ per ripararli dal freddo. E quante altre parole potremmo inventare? Teniamo sempre presente che Rodari cercava in genere una motivazione ideologica nella sua creatività, che non dovrebbe sfociare in  un gioco di parole fine a se stesso, ma essere portatrice di un qualche insegnamento su cui riflettere, su cui edificare.

Errore creativo  >  questo è avvenuto a Perrault quando ha scritto la fiaba di Cenerentola. La sua scarpetta doveva essere di vaire (pelliccia) e non di verre (vetro). Aveva commesso un errore ortografico, che poi ha deciso di non correggere. Ed, in effetti, la storia con la scarpetta di vetro è stata molto suggestiva, quindi l’errore è stato felice.

Anche Rodari ha edificato su un suo l’errore di battitura: ‘Lamponia’ invece di ‘Lapponia’, dal quale è scaturita una deliziosa filastrocca:

Si può viaggiare in treno, / in automobile, /e in macchina da scrivere, perchè no? // Io ci ho provato. / Semplicemente battendo / un tasto sbagliato / sono arrivato in Lamponia: // un paese dolcissimo / che sa di marmellata e di sciroppo / e somiglia un pochino, ma non / troppo, / alla Lapponia propriamente detta / che se ne sta a rabbrividire / lassù alle soglie del Polo. // Il popolo dei Lamponi confina con altri popoli / buoni e tranquilli: / fragole, mirtilli, / lucciole e grilli. // Spesso giungono in visita / dagli Stati vicini / farfalle, api, bambini / con il cappellino bianco / che presto sarà nero di more…// O paese felice, scoperto per errore, Lamponia del mio cuore!  (G. Rodari, ‘Viaggio in Lamponia’, Il libro degli errori, ed.cit., p.95

-Inventare un limerick  > questo è un modo per creare una piccola filastrocca, ma seguendo uno schema predefinito.  Esempi creati da me:

Un signore di nome Gustavo (protagonista)

Aveva una valigia piena di sogni (caratteristica del protagonista)

Ed un giorno l’aprì e li fece disperdere al vento (azione che compie)

Con gran meraviglia di tutti (reazione astanti)

Quel favoloso e generoso signor Gustavo. (epiteto finale)

Un bel bimbo di nome Paolo (protagonista)

con i poteri magici racchiusi in una sfera (caratteristica del protagonista)

va a cercare una foca rossa su Marte (azione che compie)

con gran felicità dei suoi amichetti cosmonauti (reazione astanti)

quel simpatico discolo del bimbo Paolo.  (epiteto finale)

Costruire un indovinello > anche questo avviene seguendo un procedimento logico. Ad esempio: mettiamo che la soluzione al nostro indovinello sia la penna biro. Per prima cosa occorre una descrizione oggettiva: cilindrica, lunga, stretta, traccia una linea d’inchiostro sul foglio bianco. La penna, date le sue caratteristiche, possiamo personificarla in una persona alta e snella, agile. Il foglio bianco possiamo trasformarlo in un campo innevato, e la linea d’inchiostro in un sentiero:  ‘Alta, agile e snella, traccia velocemente un sentiero su un campo innevato’.  Come ultimo passaggio, miglioriamo la forma, come se fosse una piccola filastrocca: ‘Alta, agile e snella / veloce su un campo innevato/ traccia un sentiero.’

Creare una storia con la tecnica del ricalco > prendere la sequenza di una storia già conosciuta e riproporla in modo diverso. Esempio:

1)La cicala cantò tutta l’estate,  allora la formica, quando fu freddo e la cicala le chiese da mangiare, le chiuse la porta in faccia ed esclamò: ‘Adesso balla!’

2)A fece qualcosa tutta l’estate allora B, quando fu freddo ed A le chiese qualcosa, reagì male ed esclamò qualcos’altro.

3) Il gatto diede la caccia ai topi tutta l’estate, allora il cane, quando fu freddo ed il gatto gli chiese di entrare nella sua cuccia, gli abbaiò ed esclamò: ‘Io sono contro la caccia!”

–  Manipolare le fiabe tradizionali  > questo può avvenire aggiungendo un elemento estraneo (ad esempio, un elicottero nella fiaba Cappuccetto Rosso), oppure cambiando il finale o dando  opzioni di diversi finali (come ha fatto Rodari in ‘Tante storie per giocare’).  Si possono mettere personaggi o situazioni di diverse fiabe in una sola (‘insalata di favole’). Si possono rovesciare i ruoli (Cenerentola è cattiva e le sorellastre sono buone), e contestualizzare i personaggi (Alice milanese,  la Sirenetta palermitana), anche inserendoli nella modernità, ma senza snaturarli del tutto (ad esempio: che farebbe Cenerentola nel Terzo Millennio? Lavorerebbe in un’impresa di pulizie? E Le sorellastre? Forse imparerebbero a cantare su you tube, oppure si pentirebbero delle loro cattiverie e parlerebbero del bullismo nelle scuole).  La fiaba può essere poi raccontata con un mezzo comunicativo diverso, ad esempio con un fumetto, una poesia, una canzone, una recita teatrale.

Creare le carte di Propp > Lo scrittore  russo Vladimir Propp, nella sua Morfologia della fiaba (1928) elencò diverse funzioni delle fiabe, ovvero diverse azioni che avvengono nel racconto.  Queste funzioni (in tutto 31) sono ricorrenti e seguono un preciso ordine cronologico, poichè  perpetuano rituali antichi e tribali, nel tempo contaminati  anche da usi contadini, che avvenivano realmente. I ragazzi erano separati dalla famiglia, portati nel bosco, sottoposti a prove difficili da degli stregoni.  Poi ricevevano armi in dono, aiuti magici e ,una volta  superati gli ostacoli, e quindi raggiunta la maturità,  tornavano a casa, anche con nome nuovo, ed erano pronti al matrimonio.

Di tutte le funzioni di Propp se ne selezionano alcune, che vengono rappresentate su dei cartoncini,  e si utilizzano per creare una storia, prestando attenzione a non alterare l’ordine cronologico tradizionale. Ad esempio, si potrebbe  seguire questo schema: la partenza dell’eroe, la sua missione, l’incontro col donatore, i doni magici, la comparsa dell’antagonista, il superamento di prove difficili, il ritorno a casa, il falso eroe mascherato, il riconoscimento dell’eroe, le nozze.

Prendere i personaggi delle fiabe, inclusi la Befana e Babbo Natale, scomporli nelle loro caratteristiche, ed inventare una breve storia usando questi elementi, possibilmente  collocandoli  in tempi attuali.

Esempi da me creati:

Befana > scarpe rotte, calze, sacco dei regali, scopa volante, naso lungo

“Arriva il sei gennaio e la Befana, con le sue tradizionali scarpe rotte, vuole lasciare un regalo nella calza dei bambini buoni, però  una strega di Halloween, con un naso ancora più lungo del suo,  le ha rubato la sua scopa volante. Allora, invece di distribuire i giocattoli di persona col suo sacco sulle spalle, quest’anno la Befana fa le ordinazioni su Amazon.”

Babbo Natale >  slitta, renne, vestito rosso, barba bianca, Lapponia, sacco di regali, letterine

“Babbo Natale quest’anno ha deciso di venire dalla Lapponia non con la sua solita slitta trainata dalle renne, ma in aereo per fare prima. Ha consegnato al check-in il sacco dei regali, che ha preparato con cura dopo aver letto le letterine dei bambini. Soltanto che il sacco dei regali viene spedito per errore a Nairobi, e Babbo Natale può recuperarlo solo dopo Natale. E non ha abbastanza soldi per comprare dei regali nuovi.  Come fare? Decide di fare come un pover’uomo, che ogni anno si veste da Babbo Natale al centro commerciale Carrefour. Così il Babbo Natale finto si ritrova accanto il Babbo Natale vero! Dopo qualche giorno di  lavoro, i regali verranno distribuiti puntualmente ai bambini.”

Creare personaggi di diverso materiale e costruire storia adatta a loro caratteristiche>  l’omino di burro, che vive nel frigorifero, e che è pieno di colesterolo e grassi idrogenati, avrà una storia diversa dall’omino di cioccolato o da quello di plastica…

Animare gli oggetti > Andersen, nella fiaba ‘La pastorella e lo spazzacamino’ dà vita a due statuine, soprammobili di un soggiorno, e crea una bellissima storia.

Prendere delle metafore ed usarle alla lettera  > il personaggio che ‘spacca il minuto’ non solo è puntuale, ma spacca davvero i minuti dell’orologio come se fossero di legna.

Materializzare le qualità astratte > esempi celebri sono Paperone con la piscina di soldi, Braccio di Ferro con la scatola di spinaci, l’ avaro Arpagone con la sua pentola d’oro.

Sottrarre oggetti, dal meno utile al più utile >  immaginare un mondo senza guerra, armi, muri di confine, internet, , o senza cellulari, o senza tv. Immaginare un mondo senza cose essenziali, come cibo, acqua, coperte per ripararsi dal freddo. Purtroppo per tanti questa è realtà. Alla fine, un po’ come nel teatro dell’assurdo di Beckett, si arriverà ad un mondo di niente, abitato da un ‘omino di niente’ :

“L’omino di niente era tanto stanco di tutto quel niente che si addormentò. E mentre dormiva sognò che era omino di niente, e andava su una strada di niente, e incontrava un topo di niente e mangiava anche lui i buchi del formaggio, e il topo di niente aveva ragione: non sapevano proprio di niente.” (G. Rodari, ‘L’omino di niente’, Favole al telefono, ed.cit., p.169)

Rodari sognava, se fosse arrivato alla pensione, di fare il burattinaio, che per lui era il mestiere più bello del mondo. Questa passione risaliva agli anni infantili, quando si esibiva in un sottoscala per i suoi compaesani.  Preparare uno spettacolo di burattini è una grande sfida creativa, anche per i bambini, che alla fine di ogni spettacolo si affollano per vedere come sono fatti, come sono stati costruiti. Rodari  pensava che i burattini, anche se appartenevano alla categoria dei giocattoli, non erano divertimento  fine a se stesso, bensì trampolini di lancio per qualcosa di costruttivo. Come avveniva nel teatro proletario per bambini dell’intellettuale tedesco Walter Benjamin, che era liberatorio e formativo al tempo stesso.

Nel 1977 Rodari prende una pausa da Paese Sera perché non sta bene, ha un esaurimento nervoso (molto spesso le persone che sanno comunicare con i bambini sono clown tristi, dotati non di semplice comicità, ma di umorismo pirandelliano, secondo il quale il riso nasce dalla malinconia, dalla triste consapevolezza delle umane miserie).  Nel romanzo breve C’ era due volte il barone Lamberto l’autore esprime il suo desiderio di non essere dimenticato. Fintanto che il nostro nome sarà pronunciato, nel bene o nel male, la vita prevarrà sulla malattia e sulla morte.

Nel 1979, in Unione Sovietica, Rodari partecipa al festival del cinema di Mosca, dove viene premiata l’autrice di Pippi Calzelunghe. Questa bimba è per Rodari una sorta di versione femminile di Pinocchio, ovvero un altro bell’ esempio di anticonformismo. Pippi che vola alta con la sua mongolfiera è una bella immagine di leggerezza, simbolo della scuola scandinava progressiva, che promuove il senso critico e la libertà, e quindi un’alternativa all’autoritarismo della scuola sovietica. Per Rodari la stessa carta stampata non doveva essere intesa in chiave dogmatica, ma divenire un lasciapassare alla capacità di demolire, dissacrare, cambiare, ricostruire. Lo scrittore ci lascia il 14 aprile 1980, a causa di un aneurisma.

Avevamo bisogno di una scuola moderna, non dogmatica, non intollerante, aperta: una scuola in cui i bambini contassero più dei registri, il loro lavoro più dei voti con cui la legge fa obbligo di classificarli, la loro comunità più delle loro piccole competizioni, la loro sincerità più dell’ortografia, la loro libertà più dello schema imposto dall’alto. L’abbiamo cercata e trovata” (G.Rodari cit. da V.Roghi, ed.cit., p. 160)

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Per mettersi in diretto contatto con Emilia Abbo, inviare un' e-mail a: emilia_abbo@post.harvard.edu

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