ESEMPI DI GREENWASHING: QUANDO LE AZIENDE PROPONGONO TEMATICHE GREEN DI FACCIATA
Il greenwashing è un neologismo coniato circa tre anni fa, riconducibile alla pratica che aziende, organizzazioni, partiti mettono in atto al fine di pubblicizzare prodotti, eventi accattivandosi la fiducia dell’utente-consumatore, evidenziando le proprie pratiche green, ecosostenibili, quando in realtà queste sono pratiche occasionali e di facciata.
I pubblicitari conoscono benissimo l’ attenzione che i consumatori riversano nelle tematiche ambientali e quindi la predisposizione verso un acquisto di un prodotto ecofriendly: un’ intervista a Edoardo Croci, coordinatore dell’Osservatorio sulla comunicazione e l’ informazione ambientale dello IEFE, testimonia che , nonostante la crisi, gli investimenti pubblicitari verso tematiche green hanno subito un’ impennata del 430% nel periodo tra il 2006-2010 e gli annunci sponsorizzati sulle piattaforme quali stampa, radio e tv hanno subito l’aumento del 1400%.
Ecco che le aziende, sfruttando la sensibilità verso l’ecosostenibilità, si affidano a pubblicità ingannevoli per carpire la “captatio benevolentiae” del consumatore finale, il quale è ignaro dell’ occasionale beneficio ambientale se non addirittura fasullo. È stato rilevato che le aziende fanno leva su affermazioni generiche, che hanno il fine sottile di dire tutto e niente, senza poi essere tacciate di falsa veridicità, e sulla assenza di marchi specifici o risalenti a un’associazione piuttosto che a un marchio internazionale, innescando così un acquisto poco consapevole del prodotto.
Il fenomeno del greenwashing è praticamente mondiale e la maggior difesa, come sempre del resto, è l’informazione attiva, sono nati così siti come GoodGuide formulato dal Mit con la classificazione di tanti prodotti secondo parametri di impatto sociale e ambientale e salutare, Green Wikia che si basa sullo scambio di informazioni green tra tutti gli utenti.
Anche l’Italia del resto non si fa mancare episodi di greenwashing condannati dall’Antitrust come il caso della Ferrarelle Spa multata per 30mila euro a causa dei claim come “Ferrarelle rispetta la natura” oppure “Ferrarelle la prima acqua minerale a impatto zero” che l’Autorità ha definito ingannevoli in quanto lasciavano intendere al consumatore una caratteristica permanente di compatibilità ambientale non corrispondente al vero. Infatti Ferrarelle, aderendo alla campagna di Lifegate, si è conquistata il permesso del marchio “Impatto zero” sulle bottiglie limitatamente all’arco temporale di due mesi, contribuendo alla salvaguardia di un territorio boschivo in Costa Rica e compensando, solo in parte e nel periodo quantificato nei due mesi appunto, la CO2 rilasciata in seguito alla sua produzione.
Un ulteriore caso di greenwashing che ha scatenato l’ira degli italiani è la pubblicità dell’Enel che associa l’energia fornita dalla multinazionale all’energia che permette ai “guerrieri” di tutti i giorni di affrontare difficoltà quotidiane. In palio cinque bici elettriche ai cinque guerrieri del popolo italiano che avrebbero attirato più followers, raccontando la propria battaglia quotidiana sulla piattaforma della multinazionale. Il popolo della rete si è scatenato e la battaglia, non personale ma collettiva contro Enel, ha avuto luogo, ricordando anche la sorella italiana della compagnia di fornitura elettrica, la Eni: tragedie come quella dell’inquinamento del Delta del Niger (fuoriuscite di gas, discariche di rifiuti e la totale mancanza di informazione dei nigeriani) mal si associano a tentativi di greenwashing come quello di mancata emissione di 140 tonnellate di CO2, alzando di un grado la temperatura dei condizionatori legata al suggerimento di Eni di non far portare la cravatta in ufficio ai dipendenti; peccato che queste emissioni equivalgano a quelle prodotte da 20 italiani in un anno rispetto alle centinaia di milioni di tonnellate prodotte dalla multinazionale.
Anche la Coca Cola è stata oggetto dell’avvertimento del garante dei consumatori danesi, poiché la pubblicità proposta relativa alla plantbottle, la bottiglia costituita con materiale di origine vegetale, è stata tacciata di greenwashing. Infatti, oltre a ravvisare un uso eccessivo del termine plant, del colore verde nei claim, la scritta “impatto ambientale ridotto” e il termine “ecologico” non prestavano fede al fatto che la bottiglia, nella sua produzione danese, avesse solo il 15% del materiale di origine vegetale.
Ulteriore caso sospetto di greenwashing è quello che coinvolge il Granpremio di Monza. L’Aci ed Ecostore hanno firmato un accordo per compensare le emissioni di C02, ben 12mila tonnellate prodotte durante la gara automobilistica, con il rimboschimento di 10mila alberi. I territori designati, dapprima sarebbero stati Alaska e Madagascar, in seguito sostituiti con “territori in via di sviluppo”. La compensazione è legata al tipo di albero, al terreno e alle condizioni climatiche e un’inchiesta disponibile sul sito di comune-info.net, alla voce la misteriosa foresta di Monza, racchiude uno studio e un’indagine accurati su questo misterioso impatto ecologico della gara.
La Commisione Europea, attraverso un’ indagine condotta su 28 stati membri che ha coinvolto un campione di 25.568 persone di diverse estrazioni sociali e differenti fasce di età, ha appurato che le tematiche ambientali hanno un elevato impatto sul consumatore e ben il 77% sarebbe disposto a comprare prodotti ecocompatibili, tuttavia la confusione, la mancanza di dati sicuri e verificabili aumenta lo scetticismo verso le aziende e verso prodotti di questo tipo. È importante quindi seguire una direzione del mercato unico di prodotti green, verificati e riportanti dati affidabili nonché certificati.
Spesso in pubblicità vige ancora il modello passivo del consumatore, un consumatore che agisce irrazionalmente, seguendo solo il desiderio irrazionale dell’acquisto, un consumatore ignaro e spesso questo costituisce una realtà, ma quando l’informazione e l’interesse per ciò che ci circonda e l’autonomia critica hanno la meglio, il popolo, non solo quello italiano, può utilizzare questi strumenti per vincere non una battaglia ma la guerra contro il greenwashing.