Il Permesso – 48 ore fuori, con Luca Argentero e Claudio Amendola, è un film che sta per uscire in sala: ecco la trama, recensione e commento.
Luigi, Donato, Angelo e Rossana sono quattro detenuti che richiedono un permesso di 48 ore. Cercheranno di riprendere le loro vite, spinti da quattro sentimenti contrapposti: redenzione, vendetta, riscatto, amore.
Recensione de “Il permesso – 48 ore fuori”
Un palco, una cornice, una scatola che trasmette immagini, o un telo dove vengono proiettate, non fa differenza, apprezzare l’arte non significa solo capirne, ma entrare in quel legame indissolubile tra l’autore e lo spettatore. Una connessione che non è fatta solo di immedesimazione in chi crea l’arte, ma spesso questa trasposizione porta ad affezionarsi all’autore stesso, quasi a volergli bene per averti capito in quel momento esatto il bisogno di una risata, una frase di conforto o un pianto liberatorio. Ognuno ha i suoi, tra questi però non si può dimenticare Claudio Amendola. Dopo che nel 2014, a più di cinquant’anni, ha deciso di lanciarsi dietro la macchina da presa, è scattata subito la curiosità nell’attesa di un secondo film, vista la buona prova del suo: “La Mossa del pinguino”.
Grazie ad un Edoardo Leo in stato di grazia, Claudio non ha mancato la sua prima prova ed è riuscito a mettere quella parte di se stesso che lo contraddistinguesse: i dettagli. Il film del 2014 era una commedia, dove si richiedeva di soffermarsi su tic, espressioni facciali, o movimenti del corpo; in questo suo nuovo film le cose sono un po’ cambiate e cresciute. Il dettaglio certo non manca, soprattutto nell’episodio con Luca Argentero, dove tra anelli, caffè e mani, Claudio riesce a raccontare una storia più simile ad un “Fight Club”. Dal precedente film si rischia con una struttura più complessa dove i 4 protagonisti si intrecciano continuamente, permettendo al montatore Roberto Siciliano, un divertimento senza fine.
Quattro storie che, non solo grazie alla penna di Giancarlo De Cataldo, si annidano nei meandri del noir, ma soprattutto il vero merito va a due uomini: Paki Meduri e Maurizio Calvesi. Il primo già scenografo di Stefano Sollima e Cupellini, cura anche questa volta al dettaglio i vari luoghi della storia, soprattutto le abitazioni dei due giovani protagonisti. Il secondo, di cui per questo film sentiremo parlare ai prossimi David Di Donatello 2018, dà quattro tagli di colore diversi che restituiscono allo spettatore i quattro sentimenti che li hanno spinti a uscire di galera.
Nel complesso il film porta a casa il risultato, nonostante poche scene che avrebbero potuto essere curate maggiormente nei dettagli (ad esempio quando Claudio dà alcuni schiaffi al figlio in una scena molto difficile, di questi uno si vede da troppo lontano e gli altri si sentono ma non si vedono). Claudio può prendersi i meriti di aver sdoganato Luca Argentero dalle vesti di commediante e averlo reso un duro picchiatore, lanciato un’intensa Valentina Bellè e rafforzato la figura attoriale di Giacomo Ferrara, lanciato da Stefano Sollima in “Suburra”.