Il Presidente Letta e i suoi ministri continuano a stupirci con grandi promesse e pessimi risultati. Ma questa volta con l’Imu l’Italia rischia grosso
In queste ultime settimane sull’IMU sono state dette tante cose, ma quasi tutte si sono rivelate sbagliate. Il Presidente Letta, per evitare di fare i bagagli da Palazzo Chigi, ancora una volta ha abdicato dinanzi alle pressioni del centro-destra e ha tempestivamente tirato il freno a mano sull’IMU. Così, mentre nel Pd le varie correnti hanno trovato un altro pretesto per litigare, il Pdl è riuscito, con un’abile manovra mediatica, a far credere agli italiani che, grazie al loro impegno, dell’IMU sulla prima casa non ce ne sia rimasta traccia. Mandando avanti questa farsa, un bel numero di italiani sono stati indotti a credere di aver risparmiato qualche centinaia di euro, ignorando che tra qualche mese pioveranno sulle teste di tutti nuove tasse e aumenti indiscriminati, che ci faranno rimpiangere l’IMU.
Cominciamo a sfatare questo falso “mito”.
L’Imposta Municipale Unica, meglio conosciuta come IMU, non è stata abrogata, è viva e vegeta e gode di ottima salute e, tra qualche mese, busserà alle porte di milioni di famiglie italiane per riscuotere quanto le è dovuto. Il decreto legge n. 112, emanato dal governo lo scorso 31 agosto, infatti, si è limitato ad abrogare la prima rata dell’IMU relativa all’anno 2013, quella che originariamente doveva essere pagata entro il 16 giugno 2013 e che, con un decreto ad hoc, lo scorso maggio è stata sospesa. Le conseguenze a breve termine sono due. La prima, che a gennaio 2014 i Comuni batteranno cassa per riscuotere la seconda rata dell’IMU del 2013. La seconda, invece, che è quella che desta maggiore preoccupazione, riguarda la copertura economica con cui è stato messo in piedi questo provvedimento. Se il Presidente Letta fosse stato un abile prestigiatore, non avrebbe avuto problemi a far scomparire i soldi da una parte e farli riapparire, come per magia, da un’altra parte. Tuttavia, tenendo conto che questa non è un’abilità che il nostro Presidente del Consiglio possiede, sarà bene capire come farà il governo a far quadrare i conti.
Su questa vicenda, purtroppo, siamo partiti con il piede sbagliato e con troppe mezze verità. Il gettito dell’IMU, stimato per il 2013 in ben 4 miliardi e 792 milioni di euro, rappresenta l’entrata maggiore per il sostentamento dei Comuni, ( non a caso si chiama imposta municipale), senza il quale non potrebbero nemmeno provvedere all’ordinaria amministrazione. È sottinteso, dunque, che se il governo sottrae delle importanti risorse agli enti locali, in qualche altro modo dovrà provvedere, (anche in breve tempo) a restituirgli quanto sottratto. Su questo presupposto, il decreto n. 112 ha previsto un “ristoro” per tutti i Comuni delle Regioni a statuto ordinario e quelle di Sardegna e Sicilia, che coprirà le minori entrate derivanti dall’abolizione della prima rata IMU, calcolato in 2 miliardi e 327 milioni di euro per il 2013 e di 75,7 milioni per il 2014. Se ci soffermiamo sul rimborso previsto per il 2014, appare subito evidente che, nelle intenzioni del governo, non c’è quella di abolire anche la seconda rata dell’IMU. Per il 2014, difatti, è previsto per i Comuni un ristoro di poco più di 75 milioni di euro, cioè l’equivalente del minor gettito derivante da alcune esenzioni e detrazioni previste appositamente dal decreto 112 .
Tali categorie riguardano i cosiddetti “beni merce”, cioè i fabbricati costruiti dalle imprese costruttrici ma non ancora venduti o locati (fino a quando permanga tale destinazione); gli immobili adibiti ad abitazione principale appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa; gli alloggi sociali; gli immobili destinati alla ricerca scientifica. Per gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IAPC) e quelli di edilizia residenziale pubblica è prevista la detrazione d’imposta prevista per l’abitazione principale. Infine, per il personale delle Forze Armate, Forze di Polizia, Vigili del Fuoco e quelli appartenenti alla carriera prefettizia non è richiesta, ai fini del riconoscimento di abitazione principale, la residenza abituale e la residenza anagrafica. L’unica differenza di cui ci potremmo accorgere con l’arrivo dell’anno nuovo, sarà la denominazione dei tributi da pagare. Dal 2014 non sentiremo più parlare di IMU, non perché sia sparita, ma perché il governo ha pensato bene di cambiargli nome. Entrerà in scena, infatti la cosiddetta Service tax, un nuovo tributo che sarà composto da due voci di spesa: la TARI, che sostituirà in toto la TARES, e la TASI, che ingloberà l’IMU. In pratica cambierà il nome ma non la sostanza.
La manovra complessiva del decreto n. 112 è stata stimata per il 2013 in 2.934,4 milioni di euro, che servono per lo più a dare ai Comuni l’equivalente di quanto gli è stato tolto con l’eliminazione dell’IMU. Tuttavia, per ammorbidire la pillola, sono state inseriti, un po’ qua e un po’ là, interventi che sicuramente potranno rivelarsi utili. Mi riferisco ai 20 milioni di euro che la Cassa Depositi e Prestiti dovrà mettere a disposizione sia per il 2014 che per il 2015, per dare maggiore liquidità agli istituti bancari al fine di erogare mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali, in via preferenziale per l’acquisto della prima casa, o per interventi di ristrutturazione o efficientamento energetico. In aggiunta, per far ripartire il mercato immobiliare e agevolare l’acquisto della prima casa, lo Stato ha disposto alcune esenzioni, rinunciando al maggior gettito derivante dall’imposta di registro, da quella di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali e da ogni altra imposta indiretta. Inoltre, è stato incrementato di 30 milioni di euro, per ciascun anno 2014/ 2015, il Fondo per l’accesso al credito per la prima casa per le giovani coppie o per i nuclei familiari monogenitoriali con minori a carico, allargando la platea dei destinatari anche ai giovani under 35 titolari di un rapporto di lavoro atipico. Altri 30 milioni di euro, a partire dal 2014, sono stati assegnati al Fondo Nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazione in locazione, mentre è stato istituto presso il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti un apposito fondo di 20 milioni di euro, che dovrà essere ripartito con apposito decreto tra le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, per erogare contributi in favore degli inquilini morosi incolpevoli. È stata anche prorogata di un anno l’agevolazione con la quale le imprese edili possono completare la trasformazione edilizia, al fine di poter usufruire dell’imposta di registro ridotta all’1%, rispetto all’8% della previsione ordinaria. Infine, è stato previsto il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga pari a 500 milioni.
Queste sono le notizie “buone”. Quelle “cattive”, invece, che sono le più consistenti, spuntano fuori appena si va a ricercare il metodo escogitato dal governo per incassare questi 2 miliardi e 900 milioni circa di euro. Il risultato più evidente sarà lo spostamento della tassazione, da quella diretta a quella indiretta. In altri termini, per non far pagare l’IMU (imposta diretta) ai 24.2 milioni di italiani proprietari di una casa, adibita ad abitazione principale, sono state aumentate le imposte sui consumi (quelle indirette) che graveranno sugli oltre 61 milioni di cittadini.
Accantonati i 300 milioni derivanti dalla riduzione dei consumi intermedi e investimenti fissi lordi, ripartiti tra i ministeri e altri 675,8 milioni provenienti dalla riduzione delle autorizzazioni di spesa dei ministeri, rimangono 100 milioni acquisiti dalla riduzione di spesa per la realizzazione del sistema MOSE; la riduzione di 250 milioni per l’anno 2013 del Fondo per il finanziamento degli sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello; altri 100 milioni dalla riduzione dei finanziamenti per la rete infrastrutturale ferroviaria nazionale e altri 300 milioni ottenuti dalla Cassa conguaglio settore elettrico. Ma il tranello è nascosto da tutt’altra parte.
All’art.13 del decreto incriminato, il governo ha previsto la rimodulazione delle somme precedentemente stanziate per pagare i debiti degli enti locali (Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi e esigibili), incrementando la dotazione per il 2013 di oltre 7 miliardi di euro. Secondo i calcoli effettuati dai benpensanti di Palazzo Chigi, da questa operazione allo Stato arriverà un maggior gettito d’IVA, determinato in 925 milioni di euro a valere per il 2013, con cui il governo è convinto che andare a coprire buona parte della manovra che ha abrogato la prima rata dell’IMU. Peccato, che lo scorso 4 settembre, il Ministero dell’economia e Finanze abbia pubblicato un documento sullo stato d’attuazione del decreto n.35, cosiddetto “sblocca debiti”, dal quale è risultato che lo Stato non ha rispettando le previsioni dei pagamenti e che, al momento, sono ben lontani dal raggiungere la somma complessiva dei 20 miliardi stanziati solo per 2013. Va da sé che, se lo Stato non effettua i pagamenti, le imprese non potranno versare l’IVA e quindi la previsione dei 925 milioni di euro non potrà realizzarsi. Non solo. Gli uffici tecnici della Camera dei deputati hanno criticando la copertura finanziaria basata solo su delle previsioni e non su cifre certe, poiché nemmeno loro hanno capito come gli esperti di Palazzo Chigi siano arrivati a tale deduzione.
La disposizione prevista dall’art.14 del decreto IMU è ancora più interessante. Il governo, per far entrare nelle casse dello Stato altri 600 milioni di euro, ha esteso l’ambito temporale per l’applicazione del cosiddetto “Istituto della definizione agevolata dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile”. In realtà, questa norma è stata studiata ad hoc per metterci dentro il giudizio di impugnazione da parte delle dieci concessionarie per la gestione del gioco lecito, contro la sentenza della Corte dei Conti n.214 del 17 febbraio 2012.
Questa vicenda merita un inciso a parte. Il fatto in questione risale al 2007, quando la Corte dei Conti ha accusato dieci concessionarie autorizzate, (Snai, Cogetech, Gamenet, HBG, Codere, Gmatica, Lottomatica Videolot Rete, Sisal, Cirsa Italia, Bplus Giocolegale), di aver truffato il fisco italiano per una somma che all’epoca era stata quantificata in ben 98 miliardi di euro. Le suddette concessionarie sono finite sotto i riflettori della Corte dei Conti per aver volontariamente manomesso i sistemi di controllo della rete telematica collegata ai Monopoli di Stato per la definizione delle vincite e degli incassi delle macchine da gioco. Con la sentenza del 2012 la Corte dei Conti, pur rilevando la responsabilità delle concessionarie per i reati imputati, ha in parte accolto le istanze delle concessionarie e, applicando parametri di “ragionevolezza” e “proporzionalità”, ha condannato i ricorrenti a pagare complessivamente una somma forfettaria 2 miliardi e 475 milioni di euro, applicando un notevole sconto dai precedenti 98 miliardi, ma comunque una somma che da sola potrebbe coprire manovra contenuta nel decreto IMU. Ma la fortuna sembra “perseguitare” queste concessionarie. Accantonati come una brutta parentesi i 98 miliardi, non dovranno nemmeno sborsare i circa 2 miliardi e mezzo previsti dalla sentenza di primo grado della Corte dei Conti perché, accentando di avvalersi del giudizio agevolato che il governo ha messo a punto per loro, al massimo ne pagheranno 600 milioni. Il governo, pur di trovare i soldi per la copertura finanziaria del decreto IMU, ha preferito perdere la faccia davanti al Paese “condonando” chi ha occultato 98 miliardi di vincite e incassi allo Stato a danno di tutti i contribuenti, per mettere nel salvadanaio dello Stato soltanto 600 milioni di euro.
Ma non è finita qui. Non solo il governo è andato ad elemosinare una cifra ridicola dalle concessionarie ma, dopo l’emanazione del decreto, queste hanno fatto subito sapere a mezzo di stampa che a pagare i 600 milioni di euro non ci pensano proprio e che il governo farebbe bene a sbrigarsi per trovare una diversa copertura finanziaria.
Infine, non sapendo da dove pescare altre entrate, il governo ha pensato bene, all’art.12 del decreto, di abbassare drasticamente la percentuale di detraibilità dei premi assicurativi delle polizze private ( quelle sulla vita, per le spese sanitarie , quelle integrative, per invalidità o non autosufficienza e via dicendo), portando il beneficio fiscale dagli attuali 1.291,14 a 630 euro per il 2013, per arrivare al 2014 alla modica cifra di soli 230 euro. Nella relazione tecnica la Ragioneria ha stimato, a fronte di questo provvedimento, un recupero del gettito IRPEF di 262 milioni nel 2013 e 490 milioni nel 2014.
È vero che di questi tempi la Costituzione non va molto di moda, ma il nostro governo ha dimenticato che i diritti pregressi non si toccano. Coloro che per la cura dei propri interessi si sono rivolti a un’assicurazione privata, scaricando l’onere dal servizio pubblico, hanno preso questa scelta tenendo conto delle detrazioni di cui potevano usufruire al momento della stipula del contratto. È palese che, cambiando le regole in corso d’opera, il danno risulta di notevole portata, poiché da 1.291 mila euro a 230 euro ce ne passa. Quello che si contesta non è la disposizione in sé ma la natura regressiva della stessa. Tra l’altro queste polizze non sono “roba da ricchi”. Risulta, infatti, che il 90% dei premi assicurativi detratti risultano appartenere a soggetti che dichiarano un imponibile non superiore a 55 mila euro lordi annui, mentre la metà dei premi in questione risultano detratti da cittadini che hanno dichiarato un imponibile non superiore ai 26 mila euro lordi.
Prima di proseguire è d’obbligo una banale riflessione. È difficile credere che tutti i rappresentanti di questo governo, ma anche tutti gli alti funzionari di Palazzo Chigi, con decenni di esperienza alle spalle, nonché la Ragioneria dello Stato, siano incorsi in un simile errore di valutazione. Così come è difficile ricercare in queste previsioni una qualsivoglia buona fede, considerando che gli stessi tecnici di Palazzo Monte Citorio hanno pubblicamente espresso preoccupazione per la indeterminatezza delle coperture finanziarie. Certi errori non capitano, vengono fatti accadere. In un tempo non molto lontano, un decreto legge come questo sarebbe stato rispedito al mittente e un diverso Capo dello Stato, invece di nominare quattro senatori a vita a carico del bilancio pubblico, si sarebbe affrettato a far sapere al governo che non avrebbe mai apposto la sua firma su un provvedimento che manca di copertura finanziaria.
Ma il governo è tutt’altro che sprovveduto. All’ultimo comma dell’ultimo articolo del decreto, infatti, è stata inserita la cosiddetta “norma di salvaguardia”, con la quale l’esecutivo si è salvato in extremis, ma ha condannato tutti noi a morte certa. Al comma quarto dell’art.15, il governo ha disposto che, qualora le coperture finanziarie descritte dal provvedimento non raggiungano l’obiettivo previsto, necessario a coprire interamente i costi dell’abrogazione della prima rata dell’IMU, il Ministero dell’Economia e Finanze è autorizzato a disporre l’aumento degli acconti dell’IRES e IRAP, nonché l’aumento delle accise riferite ai prodotti energetici ed elettricità, alcool, bevande alcoliche e tabacchi lavorati.
Siamo così arrivati all’epilogo di questa vicenda. Mentre i politici, di ogni colore politico, continuano a ripetere come un disco rotto che non saranno aumentate le tasse, il governo, con il beneplacito di tutti i partiti, dispone l’aumento degli acconti IRES e IRAP che andranno a creare nei prossimi mesi grandi problemi di liquidità per le aziende. Non solo. Per l’ennesima volta, sulla base di una strategia miope quanto sconsiderata, il Governo Letta metterà di nuovo mano all’aumento delle accise, soprattutto sulla benzina. Solo negli ultimi due anni le forze politiche hanno aumentato le accise sui carburanti per ben sette volte, con un aumento complessivo per la benzina di 16,44 c euro/litro e di 19,44 per il gasolio, senza considerare che il Decreto del Fare ha previsto un ulteriore aumento, che scatterà a partire da gennaio 2014.
Andando a toccare le accise sui carburanti non si fa un torto alle compagnie petrolifere ma a tutti gli italiani. Dall’inizio della crisi, nel 2009, si è registrato un calo delle vendite della benzina stimato in 9 miliardi di litri che, grosso modo, corrispondono agli incassi di 7/8 mila impianti di carburanti. Un crollo dei consumi che è riconducibile in maniera proporzionale all’aumento del costo della benzina. Oggi in Italia spostarsi con macchina è diventato un lusso e le famiglie e i giovani si trovano sempre più costretti a scegliere forzatamente mezzi di trasporto diversi o, peggio, a diminuire la loro mobilità, adeguando le abitudini di vita alle ristrettezze economiche a cui si deve far fronte. E non finisce qui. Se gli italiani si spostano di meno perché il prezzo della benzina incide troppo sulle spese familiari, automaticamente si registrerà una diminuzione dei consumi che inciderà su tutto il sistema economico. Se si esce meno, si spende meno; se si spende di meno, il commercio subirà una contrazione; le aziende produrranno di meno e il mantenimento dei livelli occupazionali, a queste condizioni, diventerà un serio problema. Senza dimenticare che l’80% del trasporto delle merci in Italia avviene su gomma, quindi, l’azienda scaricherà il costo derivante dalle maggiori spese per il trasporto, per effetto dell’aumento del gasolio, sull’utilizzatore finale, ossia il consumatore.
La scelta di non far pagare l’IMU sulla prima casa a tutti (limitatamente alla prima rata 2013) è stata una forzatura politica, che non ha tenuto conto delle conseguenze a medio e lungo termine e ha creato, altresì, delle palesi disuguaglianze. L’IMU sulla prima casa non dovrebbe essere pagata da chi è già gravato da un mutuo o ha un reddito familiare inferiore ad una certa soglia. Diversamente, possono contribuire i proprietari per i quali l’abitazione non è solo un’esigenza abitativa, ma rappresenta un investimento o anche un lusso. È altresì discriminante per le conseguenze, poiché se l’IMU la dovevano pagare solo i proprietari di un’immobile, tasse e aumenti di accise andranno a colpire indistintamente tutti i cittadini.
Solo una politica precaria, retta da persone che sono più impegnate ad assicurarsi un posto sicuro per le future elezioni, poteva partorire con tale leggerezza un provvedimento del genere, scaricando su chi verrà dopo l’onore di andare a tappare i buchi creati da questa maggioranza. Le chiacchiere e le promesse lasciano il tempo che trovano e non costano fatica, ma sono i provvedimenti che escono da Palazzo Chigi e che vengono approvati dal Parlamento, a delineare il futuro della nostra nazione, che ancora per molto rimarrà a tinte fosche. Non ci sarà, quindi, da stupirsi se ad ottobre il governo, con la legge di stabilità, rimanderà ancora la responsabilità di prendere decisioni a un momento successivo, cercando di vivacchiare qualche mese in più. Quello che abbiamo capito è che di sconti non ce ne faranno, né oggi né in futuro, e quando ci prometteranno per l’ennesima volta “meno tasse per tutti”, l’unica certezza sarà che, prima o poi, qualcuno porterà a casa il conto da pagare, con tutti gli interessi del caso.