L’inquinamento sta mettendo a rischio la vita negli oceani, le emissioni di CO2 stanno alterando l’acqua provocando la morte delle barriere coralline e la migrazione di numerosi pesci.
L’inquinamento da CO2 sta portando ad un’estinzione di massa negli oceani, ce lo rivela uno studio condotto dagli scienziati dell’Università della California a Santa Barbara in collaborazione con i ricercatori dell’Università di Stanford (California) e della Rutgers University (New Jersey) e pubblicato sulla nota rivista “Science”.
“Potremmo essere seduti sull’orlo di un precipizio”, cosi esordisce Douglas J. McCauley ecologo presso la California University e autore della ricerca. Le emissioni di anidride carbonica sono uno dei lati negativi dell’industrializzazione, gli impianti industriali che inquinano rilasciano nell’ambiente una quantità di CO2 superiore a quella naturale. Questo aumento non solo sta causando l’innalzamento delle temperature atmosferiche, con i pericoli che questo comporterà, ma costituisce anche una seria minaccia per gli oceani.
L’aumento di CO2, infatti, sta alterando la chimica dell’acqua di mare, rendendola più acida e provocando, per esempio, la distruzione delle barriere coralline, diminuite del 40% in tutto il mondo. Inoltre, molte specie di pesci stanno migrando, come nel caso del “black sea-bass”, un tipo di branzino che una volta era più comune al lago della Virginia e ora si sta spostando verso il New Jersey. L’inquinamento industriale, i rifiuti, il riscaldamento globale sono i principali antagonisti degli ecosistemi marini e derivano dall’impatto delle attività dell’uomo. Secondo gli studiosi che hanno analizzato i dati forniti da centinaia di fonti, però, a differenza dell’inquinamento della terra, quello dei mari può essere ancora fermato evitando la catastrofe.
“Siamo fortunati in molti modi perché l’impatto distruttivo dell’uomo sta accelerando, ma c’è ancora tempo per invertire la rotta”. Questo è ciò che afferma il biologo marino della Rutgers University Malin L. Pinsky, che ha collaborato allo studio. Infatti l’oceano, al contrario della terra ferma, mantiene ad oggi una buona capacità di auto depurazione che potrebbe permettere di salvaguardare il suo equilibrio ecologico, purché l’inquinamento e le emissioni di anidride carbonica diminuiscano in maniera diffusa e non localizzata, al fine di consentire alle specie minacciate di vivere in un ambiente vasto e sano in cui poter migrare senza pericoli.
Per gli scienziati studiare uno stato di salute di una specie che vive sott’acqua è una pratica assai più complicata rispetto a quelle che vivono sulla terra ferma, anche perché i cambiamenti degli ecosistemi oceanici potrebbero non riflettere gli stessi cambiamenti che avvengono sul nostro pianeta. Il professore McCauley sostiene che limitando l’industrializzazione in alcuni paesi potrebbe diminuire l’inquinamento e quindi consentirebbe alle specie in via di estinzione di riprendersi in altre zone.
Un altro studioso della ricerca, Stephen R. Palumbi della Stanford University sostiene che: “ il miglior modo per salvare l’oceano, è l’oceano stesso”.
L’uomo, però, dal canto suo, deve dare il suo contributo, o quanto meno non ostacolare ulteriormente questo processo.