In Iran sei candidati si contendono il posto del presidente uscente Ahmadinejad, riconfermato nel suo ruolo quattro anni fa
Sono iniziate oggi le elezioni presidenziali in Iran che chiamano alle urne oltre cinquanta milioni di cittadini, dopo la ultima rielezione, molto discussa, nel 2009, del presidente uscente Ahmadinejad, il cui mandato non è rinnovabile una terza volta. Da un lato con questo voto molti sperano in una elezione di un presidente più moderato che aiuti a risolvere alcune tra le questioni più controverse del Medio Oriente: la questione siriana, di cui Ahmadinejad è stato in prima linea per quanto riguarda il rifornimento di armi al governo siriano, e la questione israelo-palesinese, la cui posizione del presidente uscente è contro la soluzione dei due stati e a favore dell’eliminazione dello stato di Israele. Dall’altro lato, sono molti i dubbi che emergono con questa elezione, in particolare ci si interroga sulla possibilità di un reale cambiamento dell’Iran, soprattutto nelle questioni internazionali. Con l’attuale struttura politica iraniana, e con l’imponente figura del Guida Suprema che ha l’ultima parola sul destino del paese, non sarà facile per l’Iran voltare pagina e abbandonare la pesante eredità lasciata da Ahmadinejad.
Sono sei i candidati che si contendono il posto di Presidente della Repubblica islamica dell’Iran. Moderati e riformisti sono schierati con Mohammad Gharazi, ex ministro del petrolio e delle telecomunicazioni, e con Hassan Rohani, dopo che dal voto è stata esclusa la candidatura dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani. Con Rohani, noto per aver negoziato nel 2003 una sospensione dell’arricchimento dell’uranio, anche i riformisti sono guidati da un altro ex capo di Stato, Seyyed Mohammad Khatami.
Gli ultraconservatori appoggiano invece la elezione di Ali Akbar Velayati, consigliere diplomatico della Guida suprema Ali Khamenei, l’ex negoziatore nucleare Said Jalili, il più giovane dei candidati, e il sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf, candidati considerati vicini all’Ayatollah Kjamenei. Infine l’indipendente Mohsen Rezai, ex comandante dei Guardiani della rivoluzione (pasdaran) e segretario del potente Consiglio del discernimento.
Nessun favorito per ora anche se lo scenario che si prospetta è quello di un ballottaggio a cui probabilmente arriveranno solo due dei sei candidati: Jalili e Qalibaf. Non è facile comunque fare previsioni, in assenza di sondaggi attendibili secondo gli standard occidentali e prevedere se realmente ci sarà la possibilità di arrivare a un ballottaggio o se ci sarà un vincitore incontrastato (visti anche i controversi risultati elettorali delle precedenti elezioni del 2009). Il dato che invece emerge, a poche ore dalla chiusura dei seggi, è l’alta l’affluenza alle urne, tanto “massiccia” che il Ministero dell’Interno ha prolungato di due ore le operazioni di voto. I risultati saranno noti nella mattinata di domani e comunque entro le 24 ore dalla chiusura delle urne. L’eventuale ballottaggio, scontato per molti, si terrà invece il 21 giugno.
Rimane il dubbio su quanto l’elezione del nuovo presidente potrà fare la differenza in Iran. Nel sistema politico iraniano, infatti, da oltre vent’anni è la suprema autorità religiosa iraniana: l’ Ayatollah Ali Khamenei ad avere l’ultima parola sui destini del paese. La sua posizione non è decisa da un voto popolare. Leader spirituale e politico, l’Ayatollah ha il potere di definire l’architettura dello Stato, scegliendo il capo della magistratura, i sei membri del Consiglio dei Guardiani (sotto la cui approvazione devono passare i candidati alla Presidenza) e può porre il veto su numerose leggi, se considerate in contraddizione con la Shari’a (reintrodotta dopo il rovesciamento dello Shah nel 1979, del cui regime l’Ayatollah Khamenei era il maggiore oppositore). Egli controlla direttamente i media e conferma l’elezione del presidente limitandone l’autorità durante il corso del mandato.
Che il prossimo presidente eletto possa essere una figura vicina all’Ayatollah non stupisce poi più di tanto, ma controverso rimane il ruolo e il peso politico che effettivamente egli avrà. Con la gestione del nucleare e della politica estera da parte dell’Ayatollah, il compito de nuovo presidente dell’Iran sarà quello di intervenire sui problemi di politica interna, sull’economia debole, segnata dagli squilibri interni e dalle sansioni, sui problemi di una società islamica sciita che però è anche una società in movimento, a metà strada tra tradizione e futuro.