I miliziani dell’Isis sono riusciti a conquistare la città di Ramadi e a portarsi a soli 130 chilometri ad ovest della capitale irachena nonostante i numerosi appelli alle truppe governative del premier iracheno Al Abadi. La città di Ramadi è da sempre una roccaforte sunnita e i suoi abitanti sono rimasti impassibili davanti alle richieste del premier di unirsi alle forze lealiste per combattere contro le milizie fondamentaliste. Il successo dell’attacco viene attribuito da Sheik Ali al-Hatim, leader di una delle maggiori tribù di Ramadi, alla scelta governativa di schierare sul campo milizie volontarie composte da sciiti filo iraniani, portando così la popolazione sunnita di Ramadi a parteggiare per lo Stato Islamico.
La battaglia è stata glorificata con un audio messaggio del califfo Abu Bakr al Baghdadi, in cui una voce al momento non identificabile con certezza inneggia alla liberazione di Kerbala e Baghdad, contenuto in un video di circa 40 minuti intitolato “Lo Stato islamico ha liberato Ramadi” trasmesso dall’agenzia dello Stato Islamico Aamaq. Nonostante il duro colpo inflitto dal blitz della Delta Force americana in Siria contro l’emiro Abu Sayyaf, persona incaricata di gestire tutti i traffici petroliferi con i quali si finanzia lo Stato Islamico, le milizie dell’Isis sono riuscite a prendere il completo controllo del quartiere Al Anbar, un centinaio di chilometri ad ovest di Baghdad, obiettivo ultimo dei combattimenti.
Secondo quanto riportato dalla televisione di Stato irachena, il premier Haidar Al Abadi starebbe chiamando a raccolta tutte le forze lealiste, dando loro l’ordine di non abbandonare il quartiere caduto nelle mani degli jihadisti, e avrebbe anche fatto appello alle forze sciite, alleate con l’Iran, di tenersi pronte a combattere affianco alle milizie irachene qualora la situazione dovesse ulteriormente peggiorare.
Kerbala è, infatti, la città santa per gli sciiti e luogo simbolico di questo scontro sul terreno iracheno, una sua conquista farebbe precipitare la situazione dell’intera regione, sopratutto in paesi come Libano, Siria e Yemen. Intanto migliaia di civili sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e le proprie vite per fuggire in direzione della capitale e circa 500 persone hanno perso la vita durante gli scontri.