Israel Hernandez, 18 anni, è stato colpito da un taser a causa di un graffito. L’ultimo anello di una lunga catena di episodi legati ad un uso improprio delle armi negli Stati Uniti
Si chiamava Israel Hernandez-Llach il diciottenne di origine columbiana che martedi 6 agosto ha perso la vita a Miami per aver disegnato un graffito su un fast-food abbandonato. Il ragazzo, soprannominato Reefa, che amava la pittura, la scultura e la fotografia, si era appena diplomato, e una sua idea era anche quella di inventare un nuovo tipo di skateboard, un’altra passione che lo accompagnava sempre, perfino la mattina in cui la polizia l’ha colpito all’esile torace con un taser, ovvero con una pistola che produce delle scariche elettriche.
Trasportato al Mount Sinai Hospital, Israel Hernandez é morto poco dopo. I suoi migliori amici, i coetanei Felix Hernandez e Thiago Sonza, hanno dichiarato al CBS Miami che Israel Hernandez, per quell’ inoffensivo graffito, è stato inseguito da cinque poliziotti e, mentre il ragazzo era steso a terra, gli agenti facevano battute sul modo in cui si era ‘irrigidito‘, e poi si complimentavano per il lavoro svolto. Diversa é la versione di Raymond Martinez, capo della polizia locale, il quale ha dichiarato al Miami Herald che il ragazzo, sorpreso a compiere ‘atti vandalici su una proprietà privata‘, non ha ubbidito all’ordine di fermarsi, cosicché, ‘per evitare uno scontro fisico‘, é stato necessario usare il taser. Martinez ha aggiunto che il ragazzo, una volta catturato, ha mostrato segni di ‘sofferenza clinica‘ (‘medical distress’) e che le cause del decesso saranno accertate sia dall’autopsia che dagli esami tossicologici. Offir Hernandez, la sorella di Israel, ha ricordato che suo fratello voleva soltanto ‘cambiare il mondo attraverso l’arte‘. Il padre di Istrael ha definito l’azione della polizia ‘un atto barbarico‘, ed ha deciso, assieme al suo avvocato, di far aprire un’ indagine parallela a quella ‘ufficiale‘.
L’uccisione di Israel Hernandez non é altro che l’ennesimo episodio di un uso improprio delle armi negli Stati Uniti, dato che la letalità del taser é stata evidenziata sia dall’ONU che da Amnesty International. Se Israel Hernandez ha perso la vita a causa della bieca sconsideratezza di un poliziotto, altri recentissimi episodi di cronaca riguardano armi maneggiate da bambini. Il 10 aprile 2013, nel Tennessee, un vicesceriffo della contea di Wilson mostra (come se fosse qualcosa di cui vantarsi!) la sua collezione di armi a un ospite, e il figlioletto di quest’ultimo (età quattro anni) in un momento di distrazione da parte degli adulti, fa partire un colpo che prende in pieno la moglie dell’incauto padrone di casa. Lo stesso giorno, in New Jersey, un altro bambino di quattro anni ferisce gravemente un amichetto di sei. Il 2 maggio 2013, nel Kentucky, un bimbo di cinque anni provoca la morte della sorellina di due, ma questa volta l’arma non viene lasciata incustodita dai genitori. Si tratta di un cosiddetto ‘little crickett’, dotato di minuscoli proiettili, e pubblicizzato sul relativo sito – al link ‘l’angolo dei bambini‘ – con lo slogan ‘il mio primo fucile‘ (Corriere della Sera, 3 maggio 2013). Questo implica che il piccolo, a stento capace di allacciarsi le scarpe o di soffiarsi il naso da solo, lo scorso Natale non ha ricevuto un peluche o un pigiamino nuovo, bensì un’ arma tutt’altro che innocua, e solo ipocritamente definita ‘giocattolo‘.
I fatti di cronaca che riguardano l’uso improprio delle armi negli Stati Uniti sono talmente numerosi che solitamente vengono elencati in base al numero di vittime che hanno provocato (il triste primato spetta al Virginia Tech Institute di Blacksburg, quando il 16 aprile 2007 lo studente ventitreenne Seung -Hui Cho uccise trentadue persone all’interno di un campus universitario). Parecchie sparatorie sono state compiute nell’ambito di istituti scolastici, soprattutto per mano di teenagers. Il 24 marzo 1998, in una scuola media dell’Arkansas, un undicenne e un tredicenne uccidono quattro alunne e un’insegnante; il 1 dicembre 1997, in un liceo del Kentucky, un quattordicenne provoca la morte di tre ragazze; il 21 marzo 2005 un sedicenne, nel suo liceo di Red Lake, nel Minnesota, toglie la vita a cinque compagni, un docente ed un custode. Il 20 aprile 1999, al liceo Columbine di Denver, in Colorado, un diciassettenne e un diciottenne anni fanno fuoco su dodici compagni di scuola e un insegnante (la dinamica di questa strage, che destò fortemente l’opinione pubblica, é stata rappresentata, con incisiva delicatezza, dal regista Gus van Sant nel film Elephant, vincitore del Festival di Cannes nel 2003).
Se il livello di allerta non fosse molto alto (non a caso ormai si accede alle scuole statunitensi solo attraverso il metal detector) questo luttuoso elenco sarebbe certamente più ampio. Il diciottenne Sammie Eaglebear Chavez, ad esempio, in Oklahoma stava per realizzare un desiderio, che non era quello di girare l’Europa o di conoscere la sua rockstar preferita, bensì di sparare e lanciare bombe a mano nell’auditorium del suo liceo a Bartlesville.
Il presidente Barack Obama, dinanzi a questi agghiaccianti segnali, elargisce discorsi alla nazione e manda appelli al Congresso, affinché imponga regole che riescano ad arginare l’uso incontrollato delle armi. Si vorrebbe approvare, essenzialmente, la legge n.649, alla quale quattordici eminenti senatori si oppongono. Il secondo emendamento della Costituzione americana (introdotto nel 1791 con il Bill of Rights) prevede e garantisce il diritto a possedere armi. La sollevata obiezione che ciò si riferisse solo alle milizie, é stata messa a tacere dalla Corte Suprema sia nel 2008 che nel 2010 (di conseguenza, per un privato cittadino comprare una pistola diviene semplice come acquistare un paio di jeans).
La lobby delle armi é rappresentata dalla National Rifle Association, ed é uno zoccolo durissimo da abbattere. Obama, del resto, predica sensatamente da un pulpito che lo scorso anno ha impiegato 682 miliardi di dollari in spese militari, e che non prende ancora in considerazione l’idea di abolire la pena di morte. Quest’ultima forma di omicidio legalizzato viene applicata dopo processi spesso sommari (che mirano alla ricerca del capro espiatorio più che del vero colpevole), e senza esimere dall’iniezione letale nemmeno i minorati psichici. Di conseguenza, anche il fenomeno delle armi ‘facili‘ va ricondotto a questa debole impalcatura in materia di diritti umani.
Il giorno dopo la strage della Sandy Hook School a Newtown, nel Connecticut (ovvero quando, il 14 dicembre 2012, il ventenne Adam Lanza uccise venti bambini e sei adulti) quasi la metà degli americani era convinta che se le maestre avessero potuto a loro volta far fuoco, la strage si sarebbe potuta evitare, o per lo meno contenere. Larry Pratt, direttore esecutivo del Gun Owners of America, sostenne che, non a caso, il massacro era avvenuto in una zona interdetta alle armi, e che, quindi, coloro che volevano limitarne l’uso avevano ‘le mani sporche del sangue dei bambini‘ (Il Giornale, 16 dicembre 2012). Fintanto che questa logica da Far West (in base alla quale chi spara per primo, vince) é così inspiegabilmente radicata nell’animo della gente, i saggi messaggi di Obama saranno probabilmente destinati a cadere nel vuoto.