Attivista italiano colpito all’addome dall’esercito di Israele durante una manifestazione a Kufr Qaddum, in Cisgiordania
Un ragazzo di 30 anni è stato ferito il 28 novembre da parte dell’esercito di Israele durante una delle manifestazioni che hanno luogo venerdì in Cisgiordania. Fin qui niente di nuovo. Ogni venerdì c’è qualche ferito o arrestato tra i manifestanti. La novità risiede nella nazionalità del trentenne, questa volta non è palestinese, è italiano. E così una notizia acquista valore esclusivamente per la nazionalità del soggetto. E, purtroppo, anche qui niente di nuovo. È questa la trappola in cui continuiamo a cadere, come giornalisti e come lettori. Ormai consideriamo la vaghezza e faziosità dell’informazione come dato di fatto ineluttabile, come la povertà o la fame nel mondo. Non c’è niente che possiamo fare per cambiare la realtà delle cose, scrutando comodamente il mondo dallo schermo del nostro tablet.
Il ragazzo che è stato ferito, si trovava a manifestare a fianco dei palestinesi, ha portato la sua solidarietà cosciente che il giorno dopo il muro sarebbe rimasto, così come l’occupazione politica e militare di Israele. La consapevolezza dell’inutilità delle sue azioni, dei suoi sforzi e del rischio a cui ha sottoposto la propria incolumità fisica non l’ha dissuaso dal suo obiettivo: schierarsi dalla parte dell’oppresso. Nonostante la grave ferita, causata da un proiettile calibro 22 che l’ha colpito in pieno petto, il giovane attivista dell’International Solidarity Movement ha subito cercato di celare la propria identità, dichiarando ad ogni giornalista un’identità diversa, sia per non allarmare la famiglia, sia per non essere riconosciuto ed individuato dalle autorità israeliane durante gli accuratissimi controlli aeroportuali.
I medici dell’ospedale di Ramallah, dove è stato ricoverato, hanno assicurato che il paziente sarebbe al momento fuori pericolo, nonostante non sia stato ancora possibile rimuovere il proiettile, entrato nel petto a circa tre centimetri dal cuore, rompendo lo sterno e due costole. Secondo la versione dell’esercito di Israele, i militari sarebbero stati autorizzati ad utilizzare fucili Ruger, con relativi proiettili calibro 22, in seguito al lancio di pietre con “grandi fionde” da parte dei manifestanti. L’attivista dell’ISM indossava una pettorina gialla proprio per differenziarsi dagli altri manifestanti palestinesi, per questo il ragazzo considera “incredibile” l’essere stato preso di mira. Insieme a lui è stato ferito anche un ragazzo palestinese di 18 anni, per il quale ovviamente non si è spesa mezza parola, così come per ogni altro venerdì in Cisgiordania.
L’International Solidarity Movement è considerata un’organizzazione problematica da Israele, sopratutto in seguito alla morte degli attivisti Rachel Corrie e Tom Hurndall, uccisi a Gaza dall’esercito israeliano. Quelle stesse IDF (Israel Defense Forces), considerate da molti israeliani l’unico esercito al mondo con un codice etico.
È vero, la realtà, soprattutto quella mediorientale, è difficile da analizzare, da metabolizzare e ancor di più da modificare, ma se si guarda con attenzione l’escalation di violenza da entrambe le parti, la ghettizzazione di due società, entrambe prigioniere di un conflitto che affonda le sue radici nella storia, non si può non scorgere il bagliore del cambiamento. Lo status quo che ha caratterizzato l’ultimo decennio, dalla seconda intifada ad oggi, sta lentamente venendo meno. Lo status quo degli stati vicini, vedi Egitto, Siria e Giordania, e dei meno vicini Iraq, Libia e Tunisia, è già drasticamente cambiato.
L’unico stato che sembra voler resistere all’evoluzione della storia è Israele, ed è per questo che il cambiamento sta irrompendo con attentati più o meno terroristici come quello nella sinagoga di Gerusalemme, in cui sono stati uccisi quattro rabbini, o quello di ieri 1 dicembre che ha visto coinvolto un israeliano, pugnalato da una donna palestinese nei pressi dell’insediamento illegale di Gush Etzion, vicino a Betlemme. È evidente che la situazione attuale è insostenibile per i palestinesi, manchevoli di uno stato, di una leadership indipendente e dei basilari diritti umani, e diventerà sempre più insostenibile, ammesso che non lo sia già, anche per gli israeliani.
Forse proprio nella consapevolezza di questo impasse quasi insormontabile che ha fagocitato innumerevoli trattative di pace, si è fatta avanti in questi giorni la Francia, pronta a “prendere l’iniziativa” per organizzare una nuova conferenza di pace per il Medio oriente, secondo le parole del ministro degli esteri Laurent Fabius, che ammonisce Israele: se i negoziati non avranno successo nei prossimi due anni non potrà che “prendersi le sue responsabilità” e riconoscere lo Stato palestinese.