Il primo ministro di Israele, Netanyahu, a Roma ribadisce: nessun ritiro all’interno dei confini del 1967. Il consiglio delle Nazioni Unite concorda e boccia la “bozza giordana” di risoluzione del conflitto. Abbas minaccia di giocare la carta della Corte Penale Internazionale e aderisce allo Statuto di Roma.
Otto voti a favore, tra cui quelli di Francia, Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, cinque astensioni e due voti contrari: Stati Uniti e Australia. Decisive le astensioni di Gran Bretagna e Nigeria, che evitano agli Stati Uniti l’onere di porre il veto. La proposta di risoluzione oggetto di voto prevedeva una soluzione a due Stati, con la conseguente nascita di uno Stato sovrano palestinese e il ritiro delle forze di occupazione israeliane all’interno dei confini del ’67 entro il 2017. Ed è proprio in relazione ai confini che il primo ministro di Israele aveva ribadito la sua posizione nell’ultimo incontro avvenuto a Roma, il 15 dicembre, con Renzi e con il segretario di Stato americano Kerry: Israele non intende cedere il controllo della sicurezza di nessun territorio ad ovest del fiume Giordano.
I funzionari palestinesi e alcuni osservatori internazionali sono rimasti sorpresi dall’astensione della Nigeria, che ha fatto venir meno la base dei nove voti necessari, per la quale si aspettava uno schieramento a favore della Palestina. Secondo Saeb Erekat, capo negoziatore palestinese, la bozza di risoluzione presentata era pienamente in linea con il diritto internazionale e con tutte le risoluzioni precedenti delle Nazioni Unite e rappresentava uno sforzo serio verso la pace, sforzo che il Consiglio di Sicurezza non è ancora pronto ad accogliere.
La reazione palestinese è arrivata il giorno dopo, il 31 dicembre, con l’annuncio del primo ministro palestinese Mahmoud Abbas di adesione a 20 trattati internazionali, tra cui il Trattato di Non Proliferazione di armi nucleari e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Non è la prima volta che Abbas tenta la strada della Corte Internazionale, ma nel 2009 la Palestina non era parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e la sua domanda non è stata accolta. Con il riconoscimento, nel 2012, da parte delle Nazioni Unite della Palestina come Stato Osservatore non membro, 138 voti a favore su 193, la sua richiesta assume oggi un altro peso, poiché necessiterebbe solo di un voto a maggioranza dell’Assemblea generale.
Dopo un periodo di attesa di 60 giorni, Abbas sarà in grado di sottoporre al giudizio della Corte Penale Internazionale casi di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dallo stato israeliano, come ad esempio l’uccisione di civili durante le operazioni israeliane a Gaza dal 2009 ad oggi, (durante l’ultima operazione “Margine protettivo” sono morti più di 2000 palestinesi, più di 70 israeliani e 110.000 gazawi sono attualmente senza fissa dimora) e la continua e irrefrenabile costruzione di insediamenti, già dichiarati illegali dal diritto internazionale, in Cisgiordania, Gerusalemme Est e nelle Alture del Golan. L’annuncio ha scatenato le aspre critiche di Netanyahu: “Chi deve davvero temere il Tribunale Penale Internazionale è l’Autorità Palestinese, che ha costituito un governo di unità nazionale con Hamas, organizzazione terroristica colpevole di numerosi crimini di guerra nei confronti di Israele”.
E in quest’affermazione si legge l’importanza politica della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di annullare l’iscrizione di Hamas dalla lista delle organizzazioni terroristiche, sebbene per motivi procedurali, in quanto l’inserimento in tale lista è da considerare non fondato su decisioni giuridicamente valide, bensì su accuse puramente fattuali tratte dalla stampa e da internet. In attesa di ulteriori ritorsioni, per il momento Israele ha sospeso il trasferimento delle tasse pagate dai palestinesi a Israele e che da questo dovrebbero essere restituite all’Autorità Nazionale palestinese. Le entrate fiscali costituiscono i due terzi delle entrate economiche dell’Anp, escludendo gli aiuti esteri e della comunità internazionale.
Secondo Saeb Erekat, il congelamento dei dazi doganali è solo l’ulteriore conferma di quanto sia legittimo il ricorso alla Corte Penale Internazionale. Tuttavia, l’adesione allo Statuto di Roma rischia di essere l’ennesima dimostrazione simbolica di una tentata sovranità che potrebbe non trovare conferme nella legalità internazionale. Da quando è stata istituita, nel 2002, l’ICC si è infatti occupata di 21 casi in otto diversi paesi, riuscendo ad ottenere solo due condanne. Inoltre, Israele ha firmato ma non ratificato lo Statuto di Roma e potrebbe per tanto rifiutarsi di consentire che i propri cittadini ne subiscano un’eventuale condanna.
Questa tensione diplomatica arriva in un momento in cui il riconoscimento internazionale per la sovranità della Palestina come entità statale è in espansione, così come cresce il disincanto nei confronti della politica di occupazione israeliana. Forse la strada dell’emancipazione diplomatica dall’onnipresente arbitro americano può condurre un passo più vicini all’obiettivo esposto in questi giorni dai rappresentati palestinesi al Consiglio delle Nazioni Unite: “Non vogliamo niente di più di ciò che ci spetta, ma non ci accontenteremo di niente di meno”.