You and I, il disco postumo di Jeff Buckley è un pugno nello stomaco. Un pugno dolce e amaro, che costringe un brivido remoto a risalire in superficie, partendo da chissà dove dentro di noi.
Lontano ed evocativo come la voce di quel ragazzo di Anaheim, che sembra riemergere dal profondo del Mississippi, il fiume delle acque profonde e sempre diverse, il fiume del blues, che lo inghiottì il 27 Maggio del 1997. Giorno in cui il Mississippi se lo riprese, concedendogli l’inestimabile dono dell’eterna giovinezza.
Jeff Buckley venne al mondo sotto il segno della musica e del dolore: tutti i presupposti per sviluppare una sensibilità artistica d’alto livello. Suo padre, Tim Buckley, fu un gigante del rock e proiettò su di lui una selva di influenze stilistiche da cui non sarebbe stato facile districarsi, un po come la dipendenza da eroina che se lo portò via a 28 anni. Jeff, dal canto suo, fece tesoro di quel bagaglio familiare, ma riuscì a superarlo e a costruirci sopra una cultura musicale sterminata, una preparazione silenziosa che sembra impossibile per un artista sbocciato negli anni ’90.
I suoi lavori ce la riportano così com’è, racchiudendola in brani di 4 o 5 minuti, in un groviglio fatto di studio e sperimentazione, sfumature centrifughe e punti ben saldi e fermi. Ad ascoltare “Grace”, l’album capolavoro che lo portò al successo mondiale nel ’94, sembra quasi di trovarsi davanti un arazzo. Puoi vedere tutti i fili che lo compongono, perché ce li hai lì di fronte a te, ma non riesci ad isolarne nessuno, almeno con un solo sguardo.
E così arrivano ad uno ad uno, nascosti in un accordo o in un’inflessione della voce, Bob Dylan e Nina Simone, Robert Plant e i The Smiths. Ma anche Kurt Cobain e Johnny Cash, insieme alle preghiere rock di Cohen e Britten. Perché no: Jeff Buckley è questo, ed incredibilmente anche molto altro.
Ascoltare questo nuovo disco, che contiene 10 tracce inedite uscite fuori non si sa da dove, è proprio compiere un viaggio (molto americano) alla scoperta di ciò che non avevamo ancora afferrato su questo grande talento. Attraverso il Soul, e il Blues; oltre il Pop ed il Rock.
“You and I”: 10 tracce inedite compongono l’album postumo di Jeff Buckley
Le dieci tracce che troviamo in questo album vennero registrate nel 1993 allo Shelter Studio di New York. Finite nell’archivio sterminato della Sony, oscurate dal successo dell’album Grace, e poi ancora dalla bufera mediatica per il terribile epilogo del loro interprete; le registrazioni rimasero dimenticate per più di vent’anni.
Ora rivedono la luce, ed oltre a riaccendere il ricordo, portano con se molte novità. Una di queste, se non la maggiore, è la serie di cover con cui Buckley, solo voce e chitarra, rende omaggio ai propri riferimenti. Da Night Flight dei Led Zeppelin, a Just like a woman di Dylan, fino all’acoustic jam di Everyday people, brano degli Sly & The Family Stone.
« Jeff Buckley era una goccia pura in un oceano di rumore » (Bono Vox)
Poi, come un diamante tra le rocce, c’è Dream of you and I, la traccia inedita che da nome all’album e che contiene anche la spiegazione, da parte dell’autore, del sogno che ha ispirato la canzone: un documento incredibile. E per finire, la versione acustica del brano Grace, che come uno schiaffo ci riporta a terra, ricordandoci che quel ragazzo che canta, non è ormai di questo mondo. Come la perfezione a cui arrivò.
Questo disco, utile per scoprire ma indispensabile per approfondire la personalità dell’autore, è davvero un’intuizione discografica felice, perché apre le porte all’universo intimo dell’ “in Studio”, e permette (ad esempio nella mozzafiato Calling You) di nascondersi in un angolo del camerino e spiare l’artista, il saltimbanco, l’attore. Mentre si toglie il trucco e si guarda allo specchio, per un momento, prima di spegnere la luce.