Le contraddizioni della Legge di stabilità
È previsto per oggi, 21 ottobre, l’ingresso ufficiale nel Senato della manovra finanziaria proposta dall’esecutivo e nota ai più come “Legge di stabilità”. I temi che verranno trattati sono molteplici e spaziano dalle entrate per lo Stato alla spesa pubblica, passando anche per le accise e il trattamento dei pubblici dipendenti, ma quelli che hanno assunto la priorità sono risultati essere il bilancio pubblico e le prospettive di crescita del paese. Si rilevano due posizioni fortemente contrapposte. Da un lato il governo sta tentando di ottenere dalla manovra una riduzione sulle imposte fiscali previste per il prossimo anno solare, con l’intento di guadagnare e incrementare i consensi mentre, sul versante opposto, le parti sociali, rappresentate, soprattutto, da sindacati e associazioni degli imprenditori, sono alla ricerca di soluzioni in grado di garantire all’Italia la spinta della quale necessita per migliorare la propria competitività e, nel contempo, offrire condizioni lavorative ottimali per i dipendenti, dal punto di vista organizzativo e retributivo.
Un elemento molto spesso sottovalutato erroneamente dai principali media e sul quale risulta assai importante focalizzare l’attenzione è l’inconciliabilità di questi due obiettivi, derivante dalla loro stessa natura, che li pone su due piani completamente differenti. Se da una parte la riduzione delle imposte è un obiettivo legato al brevissimo termine (basti pensare alla celebre teoria che sostiene che gli elettori dispongono di una memoria breve) e che viene trattato con termini altamente teorici ma difficilmente applicabili in concreto, o che, quando vengono messi in pratica, finiscono per avvantaggiare chi meno ne necessita; dall’altra è possibile notare come alla base di una politica incentrata sulla crescita vi sia un governo dotato di stabilità, in grado di operare per l’intero corso della propria legislatura, un apparato produttivo efficiente e un sistema creditizio che svolge in maniera corretta le funzioni ad esso assegnate, fattori i quali si configurano attualmente, nella nostra penisola, come obiettivi di lungo periodo e, di conseguenza, legati a politiche altamente lungimiranti. Una vivida testimonianza di ciò può essere rappresentata dalle recenti parole dell’attuale premier Letta, il quale ha dichiarato che l’Italia è oggi uno dei pochissimi paesi ad aver ridotto il peso dell’imposizione fiscale, senza però elencare i beni che verranno regolamentati attraverso modalità indirette e celando la mancata risoluzione alla problematica relativa al cuneo fiscale italiano, attualmente tra i primi in Europa e principale causa dell’effettiva impossibilità, per le imprese, di esercitare la propria attività e, di riflesso, contribuire al Prodotto del paese.
Per questi motivi è possibile affermare che, probabilmente, può risultare utile per gli italiani riflettere sulle possibilità di combinare obiettivi tra loro incongruenti, prima ancora di generare le solite ridondanti e fumose polemiche in merito al contenuto della Legge di stabilità prevista del 2014, in quanto, molto spesso, la natura degli obiettivi insiti nelle leggi è legata alla quella dell’organizzazione che le ha proposte.