Era il febbraio di quest’anno quando i quartieri della Caracas bene venivano scossi da giovani rivoltosi con passamontagna e pietre, azione che celava (male) disegni di destabilizzazione contro il governo di Nicolás Maduro e del PSUV. Ma tutto ciò è passato via con i primi balli del Carnevale.
Era l’agosto dell’anno passato quando si diffuse rapidissimamente (come tutte le bufale) la notizia dell’uso di armi chimiche da parte dell’esercito siriano. Pronta fu la reazione a parole degli Usa per un attacco al Paese mediorientale e pron(t)a l’eco dell’Europa, ma il bluff durò poco ed anche il più cocciuto Hollande dovette desistere ben presto (ed ora è il primo ad approfittare dello specchietto per allodole ISIS).
Erano i primi due mesi di quest’anno quando vari esponenti della politica occidentale (tra i quali si segnalano Radoslaw Sikorski, ministro polacco degli esteri; Gianni Pittella, vicepresidente del Parlamento europeo; e come ciliegina sulla brutta torta John McCain, l’immancabile pioggia sul bagnato) si recavano a Kiev ad incontrare giovani desiderosi di democrazia e libertà dagli oligarchi, salvo poi (inspiegabilmente) votare con maggioranza assoluta (e vari candidati ritiratisi precedentemente per protesta) proprio un miliardario. Ma l’avventura non finisce qui, poiché non può esserci vera democrazia occidentale se non si bombarda e non si perseguita una minoranza, e quindi il nuovo “governo” ucraino si è celermente impegnato in una guerra fratricida contro le sviluppate regioni orientali Donetsk e Lugansk che si protrarrà per tutto l’anno in corso (ed oltre).
Ma ora che l’estate è finita quali nuove mosse tenterà lo Zio Sam per allontanare lo spettro, sempre più consistente e spaventoso, della sua vecchiaia? Da una parte insisterà sui fronti già aperti, e dunque la tregua in Ucraina non può che essere solo temporanea e per nulla rispettata (il fronte ucraino, dopo le diverse disfatte offensive e difensive, sta fortificando le retrovie e rinforzando le file) e dall’altra continuerà ad agire sul mai passato di moda Medio Oriente, cercando probabilmente di fare pressioni anche gli alleati turchi e sauditi pur di ottenere qualche risultato.
Forse però farà di più (e lo sta già facendo) e tenterà di sabotare dall’interno il fronte anti-imperialista latino-americano colpendo il più grande Paese dell’area, il Brasile. Difatti una campagna e sfida elettorale prevista come piatta e scontata è stata scossa dalla morte del candidato socialista e dalla sua sostituzione con una candidata dal linguaggio “verde e socialista” ma dal passato un po’ troppo a stelle e strisce. In questo caso il doppio turno potrebbe portare a un’alleanza della borghesia di destra con quella liberale e chic, che in Italia conosciamo ormai benissimo, ai danni del Partito dei Lavoratori al governo per tre mandati consecutivi, il tutto con l’obiettivo di minare il progetto di indipendenza che in piccolo fu tentato da Simón Bolívar ad inizio Ottocento e che non ha eguali dalla scoperta e colonizzazione dell’America.
Resta poi il grande fronte (eur)asiatico, dove il maggior nemico resta la Repubblica Popolare Cinese. Gli Usa cercheranno di coinvolgere i Paesi limitrofi contro il gigante asiatico, ma la mosssa sembra non convincere i governi indocinesi e soprattutto quello indiano. La complessità però degli attori asiatici consiglia però di affrontare il tema in separata sede e solo quando le attuali alleanze si mostreranno alla prova dei fatti; con ciò mi riferisco soprattutto alla SCO (il cui appuntamento annuale si è concluso il 12 settembre) che si presta a divenire, secondo alcuni commentatori, l’anti-NATO.
E dunque l’ultima spiaggia: l’Europa. Sicuramente questa è la preda preferita dell’aquila imperiale, trovando sempre ascolto alle proprie (folli) richieste, siano esse di guerra di suicidio economico o di qualsiasi altra sudditanza. Il progetto maggiore che bolle in pentola è il Transatlantic Trade and Investment Partnership (trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, TTIP) la cui bozza, sostanzialmente indiscussa, risale al marzo 2014. Il trattato affronterà le norme per la gestione economica nei paesi atlantici cercando di affermare ancora di più ciò che essi chiamano “libero mercato”. Le discussioni su questo punto sono ancora in corso in seno all’UE (senza che nessuno si scomodi a farci partecipi dell’andamento) mentre in Italia sono previste, dal prossimo mese, incontri e convegni per affrontare la questione sia con intenzioni contrarie (il primo di questi sarà a Milano l’11 ottobre) sia di fondamentale adesione (14 ottobre a Roma, con già programmata manifestazione di protesta). È quindi consigliabile aspettare prima di tirare le somme, ma il dubbio che sia l’ennesimo attacco alla sovranità (forse è questo il cavallo di Troia di Draghi?) resta ed è molto forte.