La svolta di Confindustria e gli sviluppi della situazione politica italiana
Quando si sgancia quel che avviene in politica da ciò che avviene fra le classi sociali, dalla lotta fra le classi, si rischia di non capire niente di ciò che avviene in politica, di prendere fischi per fiaschi, di sbandare paurosamente fra definizioni di schieramenti (centro-destra, centro-sinistra) che non dicono più niente di ciò che avviene nella società. È ciò che accade da tempo soprattutto nel campo della sinistra, per la quale tutto si misura se vince Berlusconi o se perde Berlusconi, a prescindere da qualunque contenuto, da quali sono i poteri forti reali che vanno scontrandosi in Italia, in Europa e nel mondo. Questo è l’effetto di anni di devastazione culturale della sinistra, dell’abbandono del marxismo e di ogni pur minima concezione teorica e politica di sinistra e di classe.
Anche per questo motivo, solo pochi a sinistra si sono accorti che la grande borghesia italiana ha cominciato a capire che se si va avanti con le ricette recessive del governo Monti si va verso la sua fine, a vantaggio di altre grandi borghesie di altri Stati più potenti. Il segno evidente di questo cambiamento, che è alla base di ciò che sta accadendo nelle alte sfere della politica italiana e che ai più a sinistra risulta incomprensibile, è la svolta di Confindustria (che è la massima espressione della grande borghesia italiana).
Nell’ultimo Bollettino di marzo, Confindustria definisce quella attuale “la più grave crisi economica della storia d’Italia” in un contesto europeo di “mala gestione dei risanamenti”. Ci dice che dal 2007 la spesa per carburanti è calata del 17,1%, quella per le auto del 50%, il reddito disponibile è calato del 10%. Neanche negli anni trenta c’erano questi numeri. Confindustria comunica poi un fatto gravissimo: se nel periodo 2010-2012 bene o male l’occupazione aveva tenuto, negli ultimi 4 mesi l’occupazione è calata di 230 mila unità; la cassa integrazione diminuisce solo perché a centinaia di migliaia non viene più rinnovata. Uno studio del Censis rivela che il 75% delle imprese localizzate nei distretti industriali ha ormai poco o nulla spazio per sopravvivere. Unico respiro sono le esportazioni extra-europee, ma tali mercati coinvolgono al massimo una rete di 80 mila aziende. Sul fronte interno in 3 anni sono scomparsi circa 47 miliardi di valore aggiunto industriale, per un totale complessivo di 250 miliardi di giro d’affari: mai accaduto nell’Italia contemporanea. Confindustria si rende ora conto che la situazione è insostenibile e chiede a gran voce investimenti pubblici e misure shock per far girare liquidità. Ad esempio chiede il superamento del Patto di Stabilità Interno voluto nel lontano 1998 da Prodi in accordo al Trattato di Amsterdam, in seguito del Trattato di Maastricht.
Il grande patronato italiano che chiede la sospensione dei trattati europei non era mai successo. Un La Malfa che si scaglia ripetutamente sul giornale confindustriale contro l’Unione Europea e Monti e vuole politiche della domanda, non si riesce a spiegare se non in un contesto di drammatica crisi che potrebbe portare la grande borghesia italiana ad essere spazzata via nella durissima competizione internazionale che è alla base della crisi.
Inoltre, nel suddetto Bollettino, Confindustria mette in guardia contro qualsiasi ulteriore manovra correttiva, anzi sollecita una politica di deficit spending keynesiana: i monetaristi non abitano più a Viale dell’Astronomia, sono rimasti solo presso la direzione nazionale del Pd. L’austromonetarismo gli è servito per stroncare il proletariato italiano, ora si rendono conto che sta stroncando anche loro e cambiano passo. Premono per detassare i redditi medio bassi e attaccano la rendita, avendo capito che senza industria non c’è scampo, e che le bolle azionarie e obbligazionarie hanno decimato la rendita. Si indignano per la Grecia o per Cipro e Schauble proprio non gli va giù. Non ritengono democratico che la CSU, che costituisce appena lo 0,3% dell’elettorato europeo, decida unilateralmente per 450 milioni di persone. Dimenticandosi che negli anni ’90 Confindustria italiana osannava Franz Joseph Strauss, di cui Schauble è il delfino. E forse anche noi ci siamo dimenticati gli inchini di Romano Prodi nel 1996 a Kohl o a Tietmayer della Bundesbank e il fatto che fu Prodi a privatizzare le migliori imprese strategiche italiane e le banche pubbliche che per cinquant’anni avevano accompagnato lo sviluppo industriale italiano, vantandosi in giro per il mondo di aver fatto il record delle privatizzazioni.
Ora qualcosa nel campo della grande borghesia si muove, ovviamente non per “bontà” ma, come sempre e come è ovvio, per meri interessi di classe rispetto ad altre classi più potenti di loro. È questa di Confindustria la vera svolta, non già Casaleggio, e con essa dovremmo averci a che fare. Per favore – lo suggerisco sommessamente ai gruppi dirigenti comunisti e di sinistra – per capire qualcosa di ciò che avviene in politica, si torni a studiare ciò che avviene fra le classi, e non solo in Italia ma a livello mondiale.