M5S: tra leaderismo e purezza

Pubblicato il 21 Giu 2013 - 1:31am di Redazione

Perché il M5S si sta autodistruggendo?

M5SÈ stato chiamato, a ragione, suicidio di massa. In effetti, quello che sta accadendo all’interno del M5S è una vera e propria autodistruzione: tutto è surreale, ai limiti dell’immaginazione, una storia degna di un romanzo tragicomico – di qui il mio imbarazzo nel provare a scriverne. E, tuttavia, una storia nemmeno tanto originale e sorprendente, che va riportata alla realtà, al contesto storico che stiamo vivendo.

Il M5S, fondato nel 2009 da un (ex?) comico e dal suo apocalittico “guruCasaleggio, è un movimento di protesta, antipartitico, che si contrappone al sistema vigente, nato come reazione alla incertezza e alla crisi che stiamo attraversando, che è economica, ma anche politica: è una crisi del debito, della finanza, ma pure della democrazia e dei suoi strumenti rappresentativi, i partiti. Dato che si tratta di una crisi dell’intero sistema Europa, il M5S non è un fenomeno tipicamente italiano: ogni Paese, in questo momento, ha il suo M5S, il suo movimento populista, che sfrutta l’indignazione e la frustrazione popolare di fronte a un’Europa dormiente che ancora non ha deciso che cosa fare della propria esistenza. Certo, con delle differenze; se questi movimenti hanno una origine comune, la loro conformazione è diversa a seconda dei Paesi in cui nascono e si sviluppano: la Grecia, che è il Paese più sofferente e stremato, non a caso ha Alba Dorata, la Francia il Front National, la Gran Bretagna l’Ukip (United Kingdom Independence Part), e persino quello più benestante che guida i giochi ha la sua Alternativa per la Germania (Afd).

Si tratta comunque di movimenti di destra, chiaramente nazista quello greco, animati da più o meno esplicite tendenze razziste e xenofobe. L’Italia in questo senso ha già dato e ha già fatto da laboratorio novecentesco una volta, benché tendenze del genere sia ancora molto radicate (si pensi agli insulti al ministro dell’Integrazione Kyenge): il fascismo, nato con la crisi dello Stato liberale, ci è bastato; una parte degli italiani (forse, ma è bene non essere mai troppo sicuri) l’ha capito e ha optato per qualcosa di più soft: il M5S, appunto, che con Alba Dorata ha in comune forse solo il richiamo alla luce (non dell’oro ma delle stelle) e i cui attivisti tutto sembrano tranne che squadristi, nonostante l’ex capogruppo alla Camera Lombardi sia convinta che esista un “fascismo buono” e il loro Capo abbia dei problemi con l’antifascismo.

Il M5S è un movimento disorganico, che ha raccolto a sé delusi sia di destra che di sinistra; i suoi membri sono cittadini perbene, onesti (non hanno ancora rubato denaro pubblico) e anche simpatici (si veda l’altro ex capogruppo Crimi), animati da una grande voglia di cambiamento, che, prima di dedicarsi completamente all’impresa dell’apertura della scatoletta di tonno, svolgevano tranquillamente il proprio lavoro. Alle drammatiche elezioni di febbraio hanno ottenuto un risultato tanto strepitoso quanto irripetibile – che quasi nessuno si aspettava, almeno non in quelle proporzioni – che è servito a mettere in difficoltà la politica, a incalzarla là dove stava dormendo. Ma poi? Poi non hanno saputo sfruttare questo enorme risultato, si sono resi conto che dalla Piazza al Palazzo non è così facile passare come si pensava, e si sono “congelati”, accontentandosi della tanto reclamata presidenza della Commissione di Vigilanza Rai. Avrebbero potuto aprire un nuovo corso all’insegna del cambiamento, un nuovo modo di fare politica. E invece niente.

Le aspettative – di chi ci credeva; e anche io, lo ammetto, che non sono mai stato iscritto al Movimento né ho mai simpatizzato per esso, ci avevo un po’ creduto – sono andate deluse: il M5S, sin dal suo approdo al potere, ha mostrato subito le sue contraddizioni, incapacità, disorganizzazione, incompetenza (come se bastasse sedersi a Montecitorio e a Palazzo Madama per fare politica – e tuttavia baratterei volentieri un pidiellino con un grillino), rivelando la sua vera natura, quella di essere l’ennesimo movimento politico – non antipolitico, perché fa politica – fondato sulla figura del leader carismatico da cui dipende e di cui si nutre: un male antico per la democrazia, per certi versi necessario se si legge Gramsci, perché i partiti personalistici sviluppano culti, nascono e muoiono con i leader, non hanno una prospettiva di bene comune, si rivolgono alla parte emotiva dei cittadini e, nel peggiore dei casi, ne sollecitano gli istinti più tremendi. Sono subito riconoscibili perché i loro leader ricalcano i demagoghi vecchio stile, riproponendone stili, gesti, slogan.

E così il principio, quasi fichtiano, dell’“uno vale uno” si è rivelato falso e si è trasformato nell’“uno vale niente”; è caduto il mito della rete elevato a strumento universale di democrazia diretta, tanto idolatrata dal M5S, pericolosa e irrealizzabile, come ha sottolineato Cacciari, in sistemi democratici complessi (a meno che non vogliamo trasferirci nei cantoni svizzeri o ridar vita alle pòleis greche). Il web, strumento utile e prezioso, non è affatto l’espressione più alta della democrazia. Il web è come Eraclito: oscuro. È aristocratico, non permette ad una fascia ampia di popolo di accedervi e, come scrive Augias, “Può diventare uno strumento fraudolento per manipolare il consenso e dare veste apparentemente legittima al gioco delle cooptazioni decise dal vertice”. I partiti, checché se ne dica, sono ancora strutture imbattibili, una democrazia senza partiti si riduce a populismo, a contatto diretto tra Capo e Popolo; certo, i partiti hanno i loro difetti, e quando non sono democratici e ignorano una qualche forma di etica della politica sono dannosi. Dovrebbero garantire un maggiore ricambio, essere accessibili a tutti, non cerchi chiusi (magici o profani che siano), ed essere quindi più vicini alla società civile (di qui la necessità di una seria proposta di legge sui partiti come in Germania).

Ora, perché il M5S si sta autodistruggendo? Una volta, a Milano, Moni Ovadia disse una frase che mi colpì molto: i tedeschi, così ossessionati dall’idea di purezza, avrebbero finito per distruggersi a vicenda cercando l’ebreo che era in loro. Lo stesso “fantasma di purezza” – di cui ci ha parlato Massimo Recalcati, e che sta a fondamento di tutte le leadership totalitarie – anima anche il M5S che lo agita nei confronti degli altri, per non mescolarsi e perdere la propria verginità, ignorando che la democrazia si fonda anche sulla mediazione e sul compromesso; ma anche all’interno dello stesso movimento in cui è assente ogni forma di democrazia, è vietato il dissenso e non è ammissibile criticare il Capo, perché quello che dice il Capo è legge del Movimento e non si discute.

Qui il caso più eclatante è quello della senatrice Gambaro che, permessasi di criticare il Capo in seguito al fallimento (o, se preferite, alla non esaltante performance delle elezioni amministrative, ha osato smettere di essere un’emanazione plotiniana dell’Uno. La sua espulsione – una classica epurazione totalitaria alla Stalin – è il prodotto di un movimento che è rimasto vittima dei suoi stessi ideali di trasparenza, che è caduto sui suoi stessi cavalli di battaglia (si veda la vicenda delle diarie e degli scontrini) e che, negando la libertà di pensiero e di espressione sancita dalla Costituzione, ha perso ogni credibilità.

Ora, il M5S, movimento anomalo e antidemocratico, non è il male, il problema di fondo: anzi, è il termometro che misura la febbre! Quando questo Paese riuscirà a dotarsi di una democrazia che funzioni, il M5S (o chi per lui) scomparirà completamente. Se le istituzioni rappresentative funzionassero come dovrebbero, se fosse garantito il ricambio e fosse posto un limite al numero di mandati, se la politica venisse presa come una professione seria, non da utilizzare a proprio uso e consumo, ma finalizzata alla ricerca del bene comune e dell’interesse generale – allora sì che questo Paese, nonostante la crisi economica attuale, riprenderebbe a sperare.

Tutti auspichiamo che questo prima o poi avvenga (frattanto tocca sorbirci sui canali berlusconiani lo scontro finale della guerra dei vent’anni). E quando rivedremo sorgere un nuovo M5S (che nella storia non è il primo e non sarà l’ultimo) capiremo che c’è qualcosa che non sta di nuovo funzionando. Ma non cadremo più nella trappola: non scambieremo più il termometro con la cura. Almeno, si spera.

 

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