Partendo dalle condizioni in cui versa il nostro Meridione, conviene recuperare la memoria borbonica in funzione antimodernista oppure, dopo i danni da essa provocati e che stiamo ancora patendo, non è il caso di voltare pagina per avere un degno futuro? Una risposta convincente la propone lo storico dell’economia Emanuele Felice con il suo “Perché il Sud è rimasto indietro”, edito da il Mulino.
Non c’è da essere orgogliosi della corte borbonica, dove si faceva mercato di tutte le alte cariche dell’esercito, della magistratura, dell’amministrazione e pure della Chiesa. Il cancelliere austriaco Metternich, sempre ben informato, scriveva: “II maggiore dei mali delle Due Sicilie sono la “corruzione e la venalità”. Francesco II monarca assoluto, chiamato dagli stessi napoletani Franceschiello, era un maniaco della superstizione, tanto da mettere al bando gli jettatori. Tentennava tra la volontà reazionaria della corte e quella cauta e liberaleggiante dello zio Leopoldo DI Borbone, conte di Siracusa. Il furbo zio voleva allearsi con Vittorio Emanuele per spartirsi la penisola, mentre Francesco II temeva che quell’alleanza potesse togliere i privilegi all’aristocrazia e alla chiesa latifondista. Cavour, che, pure era conte, puntava invece alla separazione tra stato e chiesa, alla modernizzazione.
Un divario significativo emerge in agricoltura. Nel Centro e nel Nord dell’Italia si sviluppavano la mezzadria e la cooperazione mentre nel Sud i contadini formalmente liberi erano dei veri e propri servi dei latifondisti. Ecco pochi dei numerosi dati del libro di Felice. Nel 1861 l’86% delle popolazioni meridionali era analfabeta, tranne gli aristocratici, il clero e qualche borghese. Nel resto d’Italia – escluse Veneto e Roma – la media degli analfabeti era del 63%. Ciò vuol dire che circa 14 cittadini su cento sapevano leggere e scrivere, 37 su 100 nel Centro-Nord. Uno stacco notevole di due volte e mezza.
La percentuale dei bambini tra i 10 e i 14 anni che lavoravano – invece di andare a scuola – era in Calabria del 93%. Nell’Abruzzo e Molise dell’84%. Una curiosità: nel 2007 gli analfabeti nel centro Nord sono lo 0,7%, nel Meridione 1,9%. L’istruzione, i trasporti, le infrastrutture e gli istituti di credito sono una precondizione dello sviluppo e al compimento dell’Unità l’Italia è divisa in due. Condizioni di vita, diritti sociali, libertà civili dicono che il Mezzogiorno rimane arretrato rispetto all’Italia e all’Europa. Perché? Alcune spiegazioni parlano addirittura di una diversità genetica dei meridionali, o risalgono alla monarchia normanna; altre puntano il dito contro il Nord colpevole di aver sfruttato un Sud che prima dell’Unità sarebbe stato florido e avanzato; o chiamano in causa una sfavorevole collocazione geografica. Secondo Felice, invece, sono state le classi dirigenti meridionali a ritardare lo sviluppo, dirottando le risorse verso la rendita più che verso gli usi produttivi. Al Sud occorre dunque modificare la società, spezzando le catene socio-istituzionali che la condannano all’arretratezza.
Nel Meridione non circolava moneta cartacea ma solo quella metallica: per questo, dopo l’Unità d’Italia, esisteva una cassa di risparmio al Sud che emetteva solo moneta e vaglia cambiari. Sui trasporti va ricordato che la prima linea ferroviaria, Napoli-Portici di 7 Km, fu realizzata non certo per la mobilità della popolazione, ma per la famiglia reale e la corte che si spostavano a Portici, in una delle residenze estive realizzate cento anni prima da Carlo III. Gli acquedotti e le fognature erano quasi inesistenti, la denutrizione e le malattie molto più diffuse che al Nord. L’introduzione della vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo, dopo la legge sul sistema sanitario nazionale, fu particolarmente difficoltosa.
Per i nostalgici, c’è sempre qualche scrittore pronto a raccogliere lamenti, e a scrivere senza rigore storico, ma con preciso intento mistificatorio per vendere copie. Ecco allora che qualcuno parla di malasorte e di sfruttamento. Il Meridione ha ricevuto per decenni una modernizzazione passiva, una modernizzazione proveniente dall’alto. Un fiume di denaro e di iniziative che non hanno modificato la mentalità, il cuore della modernizzazione attiva. Quella che deve venire dal basso. La modernizzazione non è solo economica, significa anche cambiamento sociale. Significa esercitare i diritti civili, “meridionalizzare i diritti civili” dice Felice. “I meridionali sono privati non soltanto della libertà: la libertà di poter decidere del proprio destino, che solo un reddito decente, una buona istruzione, la fruizione di diritti collettivi e personali consentono. Sono privati anche della verità, quella di poter capire perché sono a questo punto, quali le ragioni, le eventuali colpe e di chi”.