Arriva nelle sale “Moschettieri del re” con Pierfrancesco Favino diretto da Giovanni Veronesi. Vi forniremo trama, recensione e un’intervista esclusiva.
D’Artagnan è oramai un guardiano di porci ma dall’inguaribile fascinazione verso il genere femminile. Athos ha la sifilide ed è chiuso nella sua casa da molti anni. Aramis per fuggire dai creditori si è fatto prete. Porthos ha perso tantissimi chili ed è diventato irriconoscibile. Chi potrà mai volere ancora questi moschettieri così invecchiati? C’è veramente ancora bisogno di loro?
Intervista esclusiva ai moschettieri e al regista del film
Recensione dei “Moschettieri del re”
Di grandi set oramai non se ne fanno quasi più, soprattutto nel nostro paese. In attesa di vedere “Il primo Re” (31 Gennaio) e “Freaks out” (la data di uscita non è stata ancora annunciata), nel nostro paese è raro vedere produzioni massicce come questa. Il nuovo film di Giovanni Veronesi era in progetto da molto tempo, tanto da volerlo realizzare inizialmente con nomi del calibro di Francesco Nuti, Massimo Troisi, ad inizio anni 90. Tra vincoli contrattuali e volontà di mettersi così tanto in discussione, il regista toscano non è mai riuscito a mettere in pratica questo suo sogno. Nel 1998 ha provato a cambiare registro, mettendo in scena un western che, come ha spesso dichiarato, ad oggi avrebbe modificato e rivisto, come ad esempio sfruttare David Bowie in modo diverso e realizzare il film con i suoi amici, come meditava da tempo. Per questo oggi, probabilmente si sentirà soddisfatto.
A 2 anni di distanza dall’ultima sua apparizione cinematografica in “Non è un paese per giovani” Giovanni Veronesi cambia tono e si lancia in un’avventura pur mantenendo un registro di commedia, da sempre nelle sue corde. La storia si rifà al romanzo di Dumas, chiedendone in prestito i nomi di alcuni personaggi e una possibile ambientazione temporale e geografica, ma in realtà il tutto è attuabile ai giorni nostri.
Il vero cuore del film, sta nello scorrere del tempo. Se da un lato ha delle vene nostalgiche, in realtà pone l’accento su una metaforica attualizzazione in quanto Veronesi immagina che il nostro paese, la generazione di più giovani, debbano essere salvati solo da eroi oramai attempati. Quest’ultima considerazione l’abbiamo evidenziata in modo preponderante grazie all’inserimento in sceneggiatura di alcune battute come “Alla mia età il sesso è più una fatica che una gioia”, “Tutti per uno, uno per tutti lo abbiamo detto per 30 anni, vedi che porta male”, “ho paura di invecchiare” e, ogni qualvolta che D’Artagnan richiama un membro della sua squadra, si sente dire che è vecchio; a contraltare di ciò troviamo l’unica inquadratura sui giovani moschettieri, mentre dormono. A sottolineare che se il nostro “non è un paese per giovani” dove bisogna scappare per ottenere qualcosa, chi resta è visto come dormiente.
Intervista al resto del cast
Il film ha negli attori il fulcro di divertimento. Pierfrancesco Favino, dopo l’exploit Sanremese, sta riscuotendo un successo che meritava già da 20 anni. La sua meticolosità nella preparazione dei ruoli, la concentrazione, ma soprattutto il suo registro attoriale che varia dal drammatico alla commedia, gli permettono di spaziare su più generi risultando sempre credibile. Un dono acquisito con il tempo e con lo studio che pedissequamente mette in atto film dopo film, risultando un bravissimo capitano di squadra. È abile nell’imitare i suoi colleghi e soprattutto tanti dialetti italiani e esteri così, dopo tanti tentativi, crea un dialetto italo francese che sarà uno die punti più divertenti del film.
Attorno a lui 3 colleghi che non hanno nulla da imparare ma solo insegnare nell’arte della recitazione. Per entrambi Giovanni Veronesi sceglie di mantenergli il dialetto di origine, rischiando moltissimo in termini di credibilità e di fedeltà nei confronti del romanzo di Dumas. Il risultato sta nel buon senso dello spettatore nell’accettare sin da subito la situazione farsesca (il film si apre con un’approssimazione temporale “1650 o suppergiù”). Dei 3 ragazzotti, Rocco Papaleo è quello più affascinante sia come ruolo che come portamento. Da un lato lotta con una malattia che lo porterà via molto lentamente, dall’altro si veste e ha un modo di porsi sulla scena da vero grande attore qual è.
Il film è costato circa 5 milioni di euro e ha nelle maestranze tecniche le punte di diamante. Sublimi sono i costumi di Alessandro Lai che saranno sicuramente candidate ai prossimi David Di Donatello, come la fotografia di Giovanni Canevari. Quello che colpisce è la presenza di Luca Medici alias Checco Zalone. Tutti lo conosciamo per i suoi film che incassano milioni di euro (sul prossimo film non è stato detto ancora nulla se non un continuo rimandare), non tutti sanno che è anche un abile musicista e, dopo aver ascoltato la storia a casa del produttore Valsecchi, ha deciso di non prendere parte al film ma di realizzarne le musiche in modo unico e magari rivedremo anche lui ai David?
Il film intrattiene e diverte lo spettatore, regalando 2 ore di spensieratezza da vivere al cinema.