La prima visita di Obama in Israele fa già discutere
Una bandiera a strisce bianche e rosse che culmineranno non nelle 50 stelle ma solo in una, quella di David, a campeggiare sulla lapidaria frase: “Alleanza indistruttibile”. Questo il logo scelto per la prima visita del presidente Obama in Israele, grazie a un sondaggio condotto sulla pagina Facebook dell’ufficio del premier Netanyahu.
Durante la visita, che dovrebbe tenersi tra il 20 e il 22 di marzo, il presidente degli Stati Uniti, così come annunciato da Shimon Peres, riceverà la massima onorificenza dello stato: la “Medal of Distinction”. Primo presidente in carica a ricevere la medaglia – nemmeno per il Nobel poteva vantare tale primato, dal 1906 nelle mani di Roosevelt – assegnata esclusivamente a individui o a organizzazioni che hanno dato un contributo alla società israeliana e all’immagine di Israele nel mondo. A spiegare le ragioni del conferimento lo stesso presidente israeliano: “Obama è un vero amico dello Stato di Israele, sin dall’inizio della sua vita pubblica. Ci ha sempre sostenuto in ogni momento di crisi. Nelle vesti di presidente ha offerto un contributo assoluto alla nostra sicurezza”.
Medaglia e premi a parte la visita fa discutere, soprattutto perché il presidente USA, secondo quanto riportato dalla testata online The World Tribune, pare abbia chiesto a Netanyahu un dettagliato piano per il ritiro di Israele dai territori occupati della Cisgiordania. Il programma dovrà essere presentato proprio durante la visita che “non è un’opportunità per foto, quanto piuttosto lavoro sull’Iran e sullo stato palestinese”.Sempre secondo le fonte israeliana citata dal World Tribune, qualora Obama non ricevesse questa “tabella di marcia”, gli Stati Uniti procederebbero per il proprio conto per portare avanti un progetto di creazione dello Stato Palestinese entro il 2014.
Già durante il celebre discorso pronunciato nel 2009 all’Università del Cairo il presidente aveva mostrato si la volontà di ridare dignità e uno Stato al popolo palestinese ma solo dopo aver esordito ribadendo come i legami tra Stati Uniti e Israele fossero indistruttibili e come l’aspirazione ad una patria per gli ebrei fosse radicata in una tragica e innegabile storia. Certo nessuno si sarebbe aspettato mai uno scontro a muso duro tra un presidente americano al primo mandato e gli storici amici israeliani e a onor del vero le relazioni con Netanyahu sono state spesso turbolente soprattutto in merito al tema delle colonie nei territori occupati.
Adesso però Obama è al secondo mandato e plausibilmente a fine marzo in Israele ci sarà un nuovo governo. Un tour che toccherà Ramallah oltre a Gerusalemme farebbe perciò pensare alla volontà di riaprire i negoziati di pace. Forse.
Se da un lato, infatti, i detrattori di Barak “Hussein” Obama, gli stessi che ne sottolineano le origini musulmane e che avrebbero preferito l’elezione del repubblicano Romney, considerano la visita dell’inquilino della Casa Bianca come un tentativo di far pressione sulle negoziazioni per la costituzione del nuovo governo – in sostanza un modo di spingere Netanyahu ad allearsi con i centristi e non con l’estrema destra – e come un messaggio di cambiamento rispetto ai 4 anni di immobilismo sulla vicenda, dall’altro i delusi, quelli che credevano che Obama avrebbe risolto i disastri del mondo, considerano il viaggio come un’ulteriore giustificazione all’occupazione dei territori palestinesi. Restano gli speranzosi, quelli che si chiedono a cosa sia servito scegliere di non mettere piede a Tel Aviv per 4 anni per farlo adesso se non la volontà di far ripartire il processo di pace.
Ci pensa il segretario di Stato John Kerry a dirimere la questione evitando di alimentare inutili aspettative. “Sarebbe un grande errore, quasi un passo arrogante, annunciare d’improvviso questo o quello, senza prima ascoltare. Tutti capiscono che gli Stati Uniti sono un’entità indispensabile rispetto a quel processo”. Ha dichiarato, aggiungendo: “In questo momento il presidente non è pronto che ad ascoltare le parti”.