“Una vita scandita da stagioni calcistiche più che da anni“, afferma Ivan Magnani nel suo libro d’esordio “Piacere, Ivan Magnani – Vita da Arbitro“. L’autobiografia descrive un arbitro che, tra genio e sregolatezza, riesce a raggiungere la Serie C, primo step del calcio professionistico italiano. Per giungere alla meta, tuttavia, c’è un viaggio affascinante che parte dall’infanzia vissuta “in strada” a Ferentino – paese della provincia di Frosinone – passando per le difficoltà adolescenziali, bravate, soddisfazioni e traguardi, nostalgia, gioie, delusioni e soprattutto tante riflessioni.
Piacere, Ivan Magnani – Vita da Arbitro: la recensione
Un racconto genuino, ricco di valori come l’umiltà e l’eleganza prima di tutto – il pregio di ammettere le proprie sconfitte senza ricorrere al classico complottismo nostrano -; il romanticismo con cui Ivan evoca luoghi, persone e singoli episodi dell’infanzia; la gratitudine verso chi c’è sempre stato, le persone attualmente più importanti della sua vita e l’emozione che l’autore riesce a trasmettere con un finale commovente. Tutto questo, a fare da sfondo ad una vita da vero stacanovista, vissuta a mille all’ora tra partite arbitrate, impegni lavorativi in Polizia e nell’Esercito e continui sacrifici per riuscire a conciliare la passione con il dovere.
Già, le partite arbitrate. Nei ricordi di un arbitro di calcio non possono certo mancare i singoli aneddoti, che Ivan Magnani ha raccolto nella descrizione cronologica delle gare più significative della sua carriera: da Anagni Fontana – Monti Lepini della categoria esordienti (esordio assoluto, febbraio ’96) al triangolare di Terza Categoria in occasione del quale, diciotto anni dopo, avrebbe emesso – tra le lacrime – l’ultimo fischio della sua carriera da arbitro sul campo.
La storia di Ivan (“la mia storia, almeno finora“) fa capire che quella di diventare arbitro di calcio può essere una scelta in grado di cambiare la vita di un ragazzo che non sa ancora nulla del proprio futuro. Questo, indipendentemente dal traguardo raggiunto: non conta arrivare in Serie A o alla finale dei Mondiali (che rimane, tuttavia, l’obiettivo di ogni arbitro, come afferma Ivan nel racconto) per dire “ne è valsa la pena”. Questo lo si può dire anche solo dopo aver stretto indelebili amicizie nell’ambiente, aver vissuto l’emozione di ricevere la prima designazione, fischiare o estrarre un cartellino per la prima volta, uscire dal campo consapevole di aver tenuto testa a situazioni tutt’altro che semplici.
“Piacere, Ivan Magnani” è un messaggio concreto agli aspiranti arbitri e alla cultura calcistica italiana, che purtroppo ignora un semplice concetto: dietro la figura dell’arbitro c’è una persona che sbaglia, soffre e paga per i suoi errori e che è capace di fare sacrifici immensi pur di indossare quella divisa ogni maledetta domenica.
Intervista all’autore
Abbiamo contattato l’autore Ivan Magnani, per un’intervista in cui ci ha svelato tanti retroscena sul libro e approfondimenti relativi alle tematiche trattate. Ve la riportiamo di seguito in formato integrale.
Ciao Ivan. Scrivere un libro: un libro intimo, che raccoglie emozioni, vicende positive e negative, foto e citazioni musicali ad hoc che immagino per te abbiano un significato prezioso. Spiegaci quanto è stato importante per te mettere nero su bianco, condividere questi aspetti con chissà quante persone, le difficoltà incontrate durante la scrittura e infine l’emozione di trovare il prodotto finale sullo scaffale di una grande libreria.
L’idea è nata durante la pandemia quando ho iniziato a vedere gli adolescenti lentamente ritirarsi dalla società per via delle restrizioni che man mano si facevano più stringenti causa Covid. Ho pensato a come potermi rendere utile, come dargli lo slancio per poter continuare a vivere nella loro spensieratezza ed è venuta fuori questa follia, scrivere una storia e perché no, la mia storia. E da lì è stato un fiume in piena, ritrovare le foto, gli articoli, le confidenziali delle gare andate male fino a vedere il prodotto finito. La musica è stata una parte fondamentale e per ogni periodo, ogni momento, ho voluto riportare qualcosa di significativo. Ti dirò, la prima volta che l’ho letto ho pianto.
Nel libro parli di una tua risposta polemica e divertente ad un funzionario di polizia che ti chiese cosa ti avesse spinto a fare il poliziotto. Tu risposi di cercare un lavoro che occupasse il tempo libero tra una gara e l’altra. Ironia a parte, cosa ti senti di consigliare a quei giovani arbitri promettenti con grandi prospettive di carriera, che d’altra parte faticano a trovare un lavoro compatibile con gli impegni arbitrali?
La mia vita lavorativa è stata sempre legata alle partite, non c’è stato lavoro che non sia stato inflazionato dall’arbitraggio. Fare l’arbitro per me è stato amore a prima vista ed ho sempre combattuto affinché il mio sogno potesse realizzarsi, non c’erano ostacoli che potevano fermare la mia voglia e la mia forza. Quindi inevitabilmente, una volta indossata la divisa, qualche ostacolo in più c’è stato ma è durato poco. Ho sempre dato il 200% a lavoro affinché potessi essere libero di arbitrare. E così è stato. Il consiglio che posso rivolgere ai giovani è quello di studiare. Lo studio rende liberi, ti fornisce più opportunità e puoi scegliere il percorso da seguire. Viceversa, sei obbligato ad accontentarti e non sempre è possibile conciliare il tutto.
Ti chiedo un altro consiglio da “papà” arbitrale quale sei, vista l’esperienza da Organo Tecnico Regionale e da formatore di giovani leve. In un periodo di carenza di arbitri, quali sono 5 parole per far capire ai più giovani l’importanza di provare ad intraprendere questa carriera?
Trovare solamente 5 parole non è facile ma ci proverò: Studio, Allenamento, Amicizia, Famiglia, Condivisione. Spero di aver racchiuso tutto ciò che per me rappresenta l’Associazione.
Parlaci dello straordinario percorso che ha portato quell’Ivan Magnani dei tempi della “maturità”, con poca voglia di studiare e mille dubbi sul futuro, all’Ivan odierno capace di scrivere un libro che racchiude la vera maturità: l’umiltà nel parlare della propria vita, riconoscendo debolezze e pregi, e un pizzico di romanticismo nel voler ringraziare i suoi più grandi compagni di viaggio. Possiamo dire che questo libro sia un vero e proprio esame di maturità?
Era arrivato il momento di farlo, di fare il salto. Questo libro non ha dedica come consuetudine perché potrei dedicarlo alla mia famiglia, sperando di riempire il vuoto lasciato negli ultimi 20 anni che mi hanno portato lontano da loro; a chi mi conosce ma forse non a fondo veramente; a chi non mi conosce ma mi ha sempre giudicato. Ora ho fornito loro le mie scarpe sperando che dopo aver percorso la mia stessa strada, volgendosi indietro, avranno conosciuto meglio Ivan Magnani.
Da scenari di povertà come l’Albania di due decenni fa e la Bosnia del dopoguerra, al ritorno in campo più forte e carico di motivazioni. Quali sono gli insegnamenti e i valori che hai portato a casa da queste esperienze, per riuscire a trasmetterli perfino alle prestazioni arbitrali?
La canzone scelta non è casuale (“Di essere grato di essere nato nel lato del mondo che in fondo in fondo è perfetto”, frase presente in “Domani smetto”, n.d.r.), gli Articolo 31 mi hanno accompagnato per tutta l’adolescenza, quel periodo di forte lotta interna, il non accettare, il non cedere, il volersi affermare. E poi, catapultato in una zona post bellica ti rendi conto, che in fondo in fondo, devi essere grato di dove sei nato, che hai avuto la fortuna di giocare liberamente per strada senza avere la paura dei cecchini dietro le finestre, di vivere la propria libertà senza timore del diverso, dell’odio razziale o dell’ideologia religiosa capace di cancellare un intero paese. Viverlo a pieno porta a dei cambiamenti interiori radicali, ti cambia per sempre.
Ivan, come dicevamo, sei passato negli ultimi anni dalla “Vita da Arbitro” – titolo e argomento base del tuo libro – alla “Vita da dirigente arbitrale”, sulla quale probabilmente avresti materiale a sufficienza per scrivere la seconda parte del racconto. Quanto è stato difficile superare quelle lacrime dell’ultimo fischio al triangolare di Terza Categoria – gara d’addio – e adattarti al nuovo ruolo? Raccontaci anche le più grandi soddisfazioni che stai raccogliendo in questa nuova vita.
Non a caso questo libro termina con la mia ultima gara arbitrata nel 2014, non vi è cenno al post, chissà in un futuro… Adattarmi al nuovo ruolo per me è stato normalissimo, non è stato un trauma. Ero pronto all’avvicendamento in Serie C ed in quel di Broccostella, tra le lacrime miste alla pioggia, decisi che quella sarebbe stata la mia ultima gara. Seguire i giovani per me è la normalità, avere sempre il cellulare acceso non è un problema. Capisco la difficoltà adolescenziale nel quale hanno bisogno di riferimenti veri, importanti e per me, rivestire questo ruolo è fondamentale farmi trovare sempre pronto. Non posso deluderli. Credo che la frase più bella che abbia sentito nell’ultimo periodo sia sicuramente: “Grazie per quello che fai per i nostri figli”, ecco, con questo si è ripagati di tutti i sacrifici che si fanno.
Mi ha colpito l’esemplare applauso a chi, come te, non ce l’ha fatta a raggiungere l’olimpo arbitrale. Altrettanto esemplare è la descrizione di un mondo meritocratico e pulito, sia per ciò che riguarda l’arbitraggio sia per la carriera in Polizia. Spesso, tuttavia, seguendo la cultura “Made in Italy” chi termina la propria carriera o raccoglie una bocciatura non fa altro che addossare le colpe sul sistema e sui favoritismi, e ciò avviene in ogni ambito. Puoi spiegare quanto sia importante godersi ogni tappa del viaggio indipendentemente dalla meta raggiunta, anziché vedere tutto nero e lasciare spazio alla frustrazione?
Si sente spesso ripetere che l’importante non è la meta ma il viaggio. Trovo pieno riscontro nel mio percorso. L’obbiettivo per ogni singolo “cucciolo” di Arbitro è e deve restare la categoria superiore altrimenti senza obiettivi non c’è mordente in ciò che fanno, ma le aspettative devono essere reali e corrispondenti, altrimenti si rischia di vivere in un sogno. Purtroppo è consuetudine che ciò avvenga, lo scarico delle responsabilità, ma sono altresì certo che a mente fredda ogni singolo arbitro sa perfettamente dove ha sbagliato e solo l’orgoglio gli impedisce di ammetterlo. Ogni gara, ogni errore, ogni soddisfazione sono parte fondamentale del percorso di ognuno di noi e vanno vissute con la spensieratezza perché il calcio è uno sport. Bisogna però che l’errore si tramuti in esperienza affinché ciò non avvenga più. Quando questo avverrà allora la crescita personale avrà compiuto un altro passo.
Ivan, tra impegni arbitrali e lavorativi in tutta la penisola e non solo, grazie anche ad una giusta dose di “follia” hai vissuto una vita da puro stacanovista. Il finale del libro, che mi ha commosso, ti vede finalmente tranquillo e sereno accanto alle persone che ami. La tua personale e ambita “Finale dei Mondiali” l’hai forse trovata proprio qui?
Per me, casa mia, è stato sempre il porto sicuro dove approdare dopo ogni traversata oceanica, dopo le burrasche, le tempeste. Ho sempre vissuto a mille all’ora e questo mi ha portato sicuramente a perdere tanto, i miei amici, la mia famiglia, gli affetti cari, ma senza la mia vita non sarei stato io. Da sempre mi sono prefissato un obiettivo, la mattina, guardandomi nello specchio devo riconoscermi, devo essere certo che quello che sto facendo rispecchia a pieno ciò che voglio. Finora è stato così e lo devo alle persone che quotidianamente mi accompagnano in questo percorso, Federica in primis. E forse la mia “Finale dei Mondiali” è proprio lei…