Il quadro di riferimento del petrolio, e del suo relativo grado di incidenza all’interno del mercato economico-finanziario e dell’ambito prettamente geopolitico, si appresta a vivere un periodo di profondi mutamenti causati da fattori di varia natura che andranno a colpire, essenzialmente, la quotazione e il prezzo finale posto dagli apparati governativi mondiali. A tal proposito, si inserisce quella che è un’analisi piuttosto attendibile fornita dalle prestigiose agenzie di rating internazionali: secondo le loro stime, infatti nel 2016 ci sarà un profondo ribasso del petrolio dettato, principalmente, da una ben precisa strategia da parte dell’OPEC riguardante l’immobilismo merceologico sul sistema di produzione dell’oro nero.
Petrolio, quotazione 2016 con previsioni sul prezzo
Nel contesto vanno considerati anche i cosiddetti prezzi minimi, che nel 2016 dovrebbero raggiungere nuove punte negative massime già a partire della prima metà del prossimo anno, mentre per alcuni analisti del settore regna comunque un “cauto” ottimismo che li induce a pensare ad un ribasso più lento, il cui culmine sarà intorno dicembre 2016. Stando a ciò, le tabelle diffuse e aggiornate minuto per minuto dal Sole 24 Ore parlano chiaro: il petrolio WTI viene ritenuto un elemento che, tra il 2015 e il 2016, non riuscirà a superare i 50 dollari a barile; anzi, per il brent internazionale, quest’ultimo potrebbe addirittura attestarsi su un perentorio 40, complice anche l’eccesso di domanda da parte dei paesi importatori. Insomma, per quanto il petrolio sia ancora una delle risorse energetiche più utilizzate al mondo, soprattutto in virtù del fatto che i sistemi industriali faticano, o non vogliono, orientarsi verso fonti di energia maggiormente sostenibili, i suoi trend economici appaiono ben lontani da quelli che erano gli andamenti di circa venti o trent’anni fa.
Andamento petrolio in calo: perché?
Tornando al discorso strategico delineato dall’OPEC, l’organizzazione delle nazioni esportatrici vuole puntare fortemente su una continuità ideologica, ancor prima che economica, relativa al mantenimento dell’attuale sistema produttivo. Il cartello economico in questione, quindi, proseguirà per la sua strada ignorando quelle che sono le criticità sociali e geopolitiche al di fuori dell’area del Golfo. I sauditi, da questo punto di vista, appaiono più in forma di stati quali Venezuela, Nigeria e Algeria, alle prese con situazioni d non facile risoluzione che pregiudicano, irrimediabilmente, ogni proposito di ripresa economica e strategica relativa al commercio dell’oro nero.
Da questo scenario, però, potrebbe uscirne rinforzato l’Iran, paese soggetto a numerose restrizioni che, nell’ultimo periodo, ha stretto degli interessanti accordi con gli Stati Uniti per l’implementazione e la diffusione del nucleare. Per quanto riguarda le previsioni del prezzo futuro del petrolio, in base a ciò, molti analisti credono fermamente che l’Iran tornerà a recitare un ruolo da protagonista, all’interno del mercato dell’oro nero, già a partire dal primo trimestre del 2016, e che il suo operato determinerà molte delle future in seno all’OPEC. Per avere un’idea migliore di tutto ciò basta buttare un occhio sulla quotazione del petrolio aggiornata in tempo reale da finanzarapisarda.com, sito di finanza specializzato nell’analisi delle materie prime, dove si possono reperire delle informazioni interessanti al fine di rimanere aggiornati sulla situazione.
D’altro canto, è lo stesso OPEC a sostenere la direttrice secondo cui ci sarà un cambiamento economico e finanziario del proprio sistema produttivo solo ed esclusivamente quando i produttori taglieranno i costi, poiché un’industria concorrente come lo shale oil statunitense, continua a fornire dati alquanto impressionanti. Secondo gli ultimi dati governativi, infatti, gli Stati Uniti hanno raggiunto un livello di efficienza estrattiva industriale pari a 9,6 milioni di barili al giorno.
Benzina ai minimi, il quadro in Italia
Quali saranno le conseguenze del ribasso del petrolio sul sistema produttivo e distributivo italiano? Benché ci sia stato un reale deprezzamento della benzina nel corso degli ultimi mesi, l’Italia resta ai vertici della classifica Ue per i prezzi di benzina e gasolio.
Lo ha fatto notare la Codacons attraverso un esposto alla Commissione europea e all’Antitrust italiano con lo scopo di indirizzare a qualche miglioramento specifico per il bene di consumatori e guidatori nazionali, ma l’unico esito possibile che ne seguirà, di qui a breve, sarà un riaccendersi della polemica relative alle accise italiane, veri e propri castighi tributari capaci di innalzare, e di parecchio quello che è il prezzo finale di un determinato bene economico, sia esso materiale o immateriale. Con una media di 1,3 euro per un litro di gasolio, l’Italia si piazza al secondo posto della classifica europea relativa agli stati dove il diesel costa di più, preceduti solo dal Regno Unito con 1,5 euro al litro; medesimo discorso per quanto riguarda la benzina, con una quotazione massima che si attesta su 1,4 euro a litro.
Sebbene gli andamenti in calo, in Italia, siano realmente avvenuti grazie anche al contributo di una serie di eventi finanziari e geopolitici di caratura internazionali, la benzina e il gasolio italiani (i cui prezzi superano la media europea del 20% e del 18%) continuano ad avere un prezzo sproporzionato rispetto a quelli che sono i listini europei e mondiali. Non a caso, appena due settimane fa abbiamo assistito ad una protesta del Codacons proprio a questo proposito. Un dato sconfortante, che non fa altro che gravare sulle spalle di singoli e nuclei familiari già in difficoltà per altri motivi di natura economica.
Accise benzina, una storia tutta italiana
Come detto poc’anzi, il prezzo della benzina e del gasolio in Italia stenta a scendere poiché maggiorato da un gran numero di accise, e il quadro, grossomodo, non cambierà nemmeno nel 2016. Secondo un’indagine di Assopetroli-Assoenergia, con la collaborazione di Figisc Anisa, le accise pesano per il 68,63% sul prezzo della benzina e per il 64,1% sul prezzo del gasolio. Fra queste, ce ne sono alcune che non avrebbero davvero ragione di esistere: la tassa per la guerra di Abissinia del 1935, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963, per l’alluvione di Firenze del 1966, per il terremoto del Belice del 1968, per il terremoto del Friuli del 1976, per il terremoto dell’Irpinia del 1980.
A questo sconfinato elenco, si aggiungono le accise giustificate dalla necessità di recuperare fondi per le aree terremotate dell’Abruzzo, complicando così ulteriormente il quadro economico e distributivo in questione. Altro dato interessante, in merito al prezzo del “petrolio” italiano, riguarda i contesti regionali, poiché ognuno di essi può applicare degli addizionali per urgenze legate al bilancio o a precise spese finanziarie.
Una situazione alquanto drammatica, che le prossime Leggi di Stabilità non alleggeriranno affatto a causa di precise clausole normative che, una volta approvate, porteranno ad aumenti automatici delle accise e dell’IVA. Autentiche stangate finanziarie a danno dell’italiano medio, già di per sé privo di quelle risorse economiche indispensabili per poter mantenere uno stile di vita quantomeno dignitoso.