I più accorti avranno notato che da qualche giorno in televisione viene trasmesso uno spot che riguarda il cosiddetto Referendum Trivelle: a non tutti è chiaro di cosa si tratta, quindi cerchiamo di spiegare perché si vota, qual è la data in cui si potrà esprimere la propria preferenza e quali sono i motivi che dovrebbero spingere il cittadino a votare Sì o No.
Perché si vota e data della consultazione
Prima di tutto una curiosità: il Referendum Trivelle sarà la prima consultazione popolare di questo tipo che avviene su richiesta delle Regioni e non tramite una raccolta di firme. La consultazione è stata richiesta da Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto (l’anno scorso era fallito un tentativo di richiedere il referendum tramite la raccolta delle firme). La data del voto è stata fissata al 17 aprile 2016 e i cittadini dovranno esprimere il loro parere sul rinnovo delle concessioni per l’estrazione di petrolio e gas dai giacimenti che si trovano entro le 12 miglia dalle coste italiane. È giusto ribadire che il referendum riguarda il rinnovo delle concessioni e non le nuove trivellazioni, che entro le 12 miglia dalla costa sono già vietate e non verranno permesse neanche nel caso in cui dovesse vincere il No. L’esito della votazione sarà valido solo se almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto si recherà alle urne per esprimere la sua preferenza.
Referendum Trivelle-Petrolio 2016: il quesito
Più precisamente il Referendum Trivelle domanda agli italiani se vogliono abrogare quella parte di una legge che permette il rinnovo delle concessioni per l’estrazione di gas o petrolio da piattaforme offshore che si trovano entro le 12 miglia dalle coste fino all’esaurimento del giacimento. Il decreto legislativo 152 prevede già il divieto di avviare nuove attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi gassosi o liquidi entro le 12 miglia marine di distanza dalle coste italiane, ma prevede che gli impianti già esistenti all’interno di questa zona possano continuare il loro operato fino al termine di scadenza delle concessioni, che possono essere prorogate fino a quando il giacimento non è esaurito: se vince il Sì le concessioni non verranno rinnovate, mentre se vince il No si permette agli impianti di rinnovare il permesso fino all’esaurimento del giacimento.
La maggior parte delle concessioni estrattive marine (che in totale sono 66) si trovano al di là delle 12 miglia marine dalla costa, quindi non verranno interessate dall’esito del referendum, che invece coinvolge 21 concessioni: due si trovano in Basilicata, cinque in Calabria, una nelle Marche, due in Emilia Romagna, tre in Puglia, sette in Sicilia e una in Veneto. La norma vigente prevede che le prime concessioni abbiano una durata i trent’anni, mentre il primo rinnovo è per dieci anni e il secondo e terzo di cinque; dopo questi rinnovi si può richiedere un’ulteriore proroga della concessione fino all’esaurimento della fonte. Considerando il periodo in cui sono stati costruiti, si può dire che in caso di vittoria del Sì gli impianti più vecchi (costruiti negli anni ’70) verranno chiusi nei prossimi cinque/dieci anni, mentre per la chiusura di quelli più recenti si potrà aspettare fino a venti anni.
In Italia esistono 130 piattaforme utilizzate per l’estrazione o la produzione di petrolio e gas: quasi tutto il gas (circa l’80%) e un quarto del petrolio prodotti in Italia vengono estratti dal mare; al momento non si conosce la quantità di gas e petrolio prodotta entro le 12 miglia, ma complessivamente secondo le stime del Ministero dello Sviluppo Economico le riserve di gas coprirebbero solo per 6 mesi il fabbisogno nazionale, mentre il petrolio che si trova sotto il mare italiano basterebbe per sole sette settimane.
Cosa votare? Le conseguenze
Ribadendo per l’ennesima volta che il Referendum Trivelle riguarda solo le piattaforme che si trovano entro le 12 miglia marine dalla costa (oltre questo limite e sulla terraferma si potrà continuare a cercare e sfruttare i giacimenti), vediamo per quali motivi si dovrebbe votare Sì o No e quali sono le conseguenze del voto.
Se vince il Sì gli impianti già esistenti non potranno più sfruttare i giacimenti quando le concessioni arriveranno alla scadenza; per fare un esempio prendiamo un giacimento in concessione dal 1970: nel 2000 è arrivata la prima proroga della durata di 10 anni, nel 2010 è arrivata la seconda per 5 anni; se vince il Sì ci sarà la terza proroga di 5 anni, ma al termine di questa il giacimento dovrà essere abbandonato, anche se non sarà esaurito.
I motivi per votare Sì
Perché si dovrebbe votare Sì? Secondo i comitati “No-Triv”, che hanno l’appoggio delle Regioni che hanno chiesto la consultazione e di varie associazioni ambientaliste come Greenpeace e WWF, le trivellazioni devono essere fermate per scongiurare rischi ambientali e sanitari: il malfunzionamento di un impianto (o, nella peggiore delle ipotesi, la sua esplosione) potrebbe causare un vero e proprio disastro ambientale. Greenpeace ha diffuso le statistiche elaborate dall’Ispra che dimostrano che tra il 2012 e il 2014 in alcuni degli impianti attualmente in funzione in Italia siano stati superati i livelli indicati dalla legge per gli agenti inquinanti nel corso della normale amministrazione; non si tratta di dati eclatanti, infatti anche gli stessi promotori del Sì ribadiscono che l’inquinamento non è la priorità del referendum: la vera ragione è politica, ovvero la voglia di dare al Governo un segnale forte per dire basta allo sfruttamento di combustibili fossili per puntare in modo concreto sulle fonti di energia alternative. In più c’è chi dice che le piattaforme siano un danno anche dal punto di vista del turismo.
I motivi per votare No
Perché si dovrebbe votare No? Il comitato “Ottimisti e razionali” afferma che proseguendo con l’estrazione offshore di petrolio e gas si limita l’inquinamento: producendo “in casa” una parte delle risorse che utilizza, l’Italia negli ultimi anni ha evitato che nei suoi porti transitasse un numero elevato di petroliere. L’occupazione è un altro aspetto che prendono in considerazione quelli che voteranno No: uno stop alle concessioni causerebbe la perdita di lavoro per tantissime persone (solo nella provincia di Ravenna il settore impiega, in modo diretto o indiretto, circa settemila lavoratori). Ma il punto più criticato dagli “Ottimisti e razionali” è l’aspetto politico che si vuole dare al Referendum Trivelle: in realtà, spiega il comitato a favore del No, le Regioni vogliono mandare un segnale al Governo che con le sue riforme sta riducendo le loro autonomie e competenze, anche sul tema dell’energia.