Nell’articolo seguente vedremo qual è il significato di un termine attualmente molto utilizzato nella lingua italiana parlata, cioè “resilienza”. Spiegheremo cosa vuol dire “resilienza” e i significati e gli usi che questo lemma ha assunto nel tempo, riferendoci al dizionario italiano, ma capiremo insieme anche qual è l’impiego del termine nei campi della psicologia e della sociologia, che sono gli ambiti in cui esso ricorre maggiormente.
Resilienza: interpretazioni ed esempi dal dizionario italiano
Iniziamo ad addentrarci alla scoperta dei significati della parola “resilienza” partendo proprio dalla sua origine, cioè dall’etimologia: il termine “resilienza” deriva infatti dal verbo latino “resilīre”, che ha il significato di “rimbalzare, saltare indietro”. Appare quindi chiaro fin da subito che il termine ha un accezione che fa riferimento alla resistenza e alla reazione ad una rottura. Per traslato, quindi, il termine “resilienza” indica infatti la capacità affrontare le difficoltà e superare le avversità. Questo è ad oggi il senso principale che viene attribuito al “lemma”, mutuato, come vedremo più avanti, dal gergo della psicologia e della sociologia, ma non è il solo poiché la “resilienza” entra nella lingua italiana traXVII e il XVIII secolo, in ambito tecnico-scientifico, attraverso il gergo della fisica, come testimonia un approfondito articolo redatto da alcuni linguisti dell’Accademia della Cruscaintitolato “L’elasticità di resilienza”, reperibile online sul sito ufficiale dell’istituzione. La “resilienza” infatti è un termine utilizzato nel settore della metallurgia che definisce la proprietà fisica posseduta da alcuni materiali di resistere agli urti senza rompersi o spezzarsi, acquisendo una tensione tale per cui il materiale stesso può deformarsi in modo permanente. La resilienza viene valutata negli esami di laboratorio mediante la prova del pendolo di Charpy, che rileva l’energia sufficiente a spezzare o rompere, con un colpo solo, il campione di materiale esaminato.
Ora vediamo più da vicino la definizione che di “resilienza” dà ilvocabolario dell’Enciclopedia Treccani: “resiliènza s. f. [der. di resiliente]. – 1. Nella tecnologia dei materiali, la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova d’urto: prova di r.; valore di r., il cui inverso è l’indice di fragilità. 2. Nella tecnologia dei filati e dei tessuti, l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale. 3. In psicologia, la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, ecc.”.
La definizione della Treccani rimarca la “resistenza” connotata al termine “resilienza” e rileva come questo lemma venga impiegato anche nell’ambito della tecnologia dei tessuti e dei filati, oltre che in quello metallurgico e psicologico. Il dizionario Garzanti dà invece una definizione più limitata: “resilienza [re-si-lièn-za] n.f., pl. –e 1. (fis.) proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, rappresentata dal rapporto tra il lavoro necessario per rompere una barretta di un materiale e la sezione della barretta stessa 2. capacità di resistere e di reagire di fronte a difficoltà, avversità, eventi negativi ecc.: resilienza sociale”.
Nella lingua italiana contemporanea si è imposto l’uso figurato del termine “resilienza”: l’accezione con cui oggi questa parola è usata frequentemente nel dibattito pubblico non ha un’accezione tecnico-scientifica né tantomeno psicologica e sociologica in senso stretto (ma solo parziale e nel prossimo paragrafo vedremo perché) ma indica generalmente la capacità e attitudine di alcuni individui di reagire alle difficoltà – in taluni casi anche a tragedie di grossa portata – e guardare avanti, di superare traumi e non abbandonare mai la speranza, con grande spirito di adattabilità e grande positività. “Quella persona ha affrontato il lutto dimostrando una grande capacità di resilienza” significa rilevare l’attitudine di un individuo a non lasciarsi sopraffare da dolore e sconforto ma di continuare a vivere sperando nell’avvenire, con forza e coraggio. “La resilienza deve essere la parola d’ordine del nostro tempo”, una frase che si sente spesso, sta ad indicare che in tempi incerti e per molti versi bui, come quelli in cui viviamo, la soluzione fondamentale per sopravvivere e guardare al futuro non è certo lasciarsi prendere dallo sconforto o dal panico, ma lottare, accettando le difficoltà, senza cessare di sperare in un futuro migliore.
Infine, il sito sapere.it riporta un’ulteriore definizione di resilienza: “geriatria, riferendosi a quegli anziani gravemente malati che però rispondono alle cure tradizionali in modo assolutamente positivo e inaspettato.” Per analogia, quindi, la resilienza diventa anche un termine medico che indica la risposta positiva ed assolutamente inaspettata a cure tradizionali da parte di pazienti anziani e molto malati a riprova del fatto che questo termine indica sempre e comunque la “resistenza” che gli esseri umani sono in grado di opporre alle difficoltà della vita, superando barriere e ostacoli impensabili e affermando testardamente e a gran voce la propria irriducibile voglia di vivere e di essere felici.
La “resilienza”: significato in psicologia e sociologia
Come abbiamo dichiarato nel paragrafo precedente, il termine “resilienza” si è insinuato con occorrenze sempre più frequenti e numerose nella lingua italiana contemporanea nell’accezione mutuata dal gergo tecnico psicologico e sociologico, ovviamente in chiave “semplificata”. In psicologia infatti la parola “resilienza” definisce la capacità posseduta virtualmente da tutti gli individui, ma messa in atto solo da alcuni,di non lasciarsi travolgere da eventi traumatici, di affrontare situazioni di stress e difficoltà senza ansia o paura, sentendosi in qualche modo migliorati e rafforzati dall’esperienza dolorosa vissuta. L’esperienza del dolore come momento di miglioramento di sé, nonostante la sofferenza, è ciò che maggiormente definisce la resilienza ed implica la capacità di cogliere il bene anche nei frangenti che sembrano i più disperati e oscuri o semplicemente molto stressanti. Gli episodi traumatici in cui si manifesta la capacità di resilienza sono molteplici: dalla morte di un coniuge alla diagnosi di una malattia, dalla morte di un familiare ad una separazione, dal licenziamento al matrimonio, da una catastrofe naturale a una gravidanza. Sono tutte condizioni di stress o sofferenza per uscire dalle quali è necessaria la resilienza, la capacità di guardare oltre le difficoltà, resistendo al loro “peso” emotivo e psicologico, per riconquistare la serenità. Come detto, la resilienza non è una virtù innata, un dono, ma è una capacità che si acquista con l’esperienza e con la volontà: spesso ci rendiamo conto di essere resilienti dopo aver superato un momento brutto e stressante reggendoci ancora sulle nostre gambe (metaforiche!) e sentendoci più forti di prima, anche se mai avremmo sospettato di farcela!
In generale, basandosi anche sulla definizione tecnica del termine nel dizionario psicologico, gli esiti a cui può condurre l’atteggiamento resiliente possono essere diversi: dopo la crisi, l’individuo può tornare al proprio equilibrio psichico precedente senza che si siano attuati in lui accrescimenti reali di “resistenza”, oppure può tornare alla vita di prima arricchito dall’esperienza conoscitiva che la resilienza implica. Vi sono anche casi in cui l’esito di un trauma, pur innescando il processo di resilienza, può rendere ancor più opprimente il senso di perdita (si pensi ai “lutti irrisolti”) o addirittura indurre in atteggiamenti disfunzionali e distruttivi, come l’abuso di sostanze stupefacenti o alcol. In generale, però, quando parliamo di “resilienza” in psicologia indichiamo l’esito positivo del processo, dal quale l’individuo sottoposto a trauma e stress esce dall’esperienza fortificato e con un equilibrio personale maggiore rispetto a quello sperimentato in precedenza.
La “resilienza” è un termine a cui si fa ampio ricorso anche nel campo della sociologia e della psicologia sociale: estendendo infatti i significati di cui il termine è portatore in ambito psicologico dall’individuo alla comunità, la “resilienza” va a descrivere l’attitudine di una comunità di persone a resistere a traumi, eventi catastrofici e crisi, anche di grande portata. Il lemma entra prepotentemente nel lessico sociologico a partire dagli anni ’70 del ‘900 e contraddistingue l’attitudine a resistere alle difficoltà e alle calamità che contraddistingue gli esseri umani in contesti di aggregazione sociale (dalle tribù alle società complesse, come quella in cui viviamo) e che ha consentito la sopravvivenza della specie e la continuazione della vita fino ai nostri giorni. La resilienza implica infatti un altro concetto fondamentale, che è quello di adattabilità: la capacità adattativa degli esseri umani è ciò che consente loro di essere resilienti, di resistere e superare momenti difficoltosissimi per l’intera comunità, come una crisi economica, una guerra, una catastrofe naturale e, passata la “bufera”, ricominciare a vivere, ricostruire l’impianto sociale e i rapporti tra gli individui, rifondare la società stessa. Tutti questi aspetti convergono nel definire la resilienza come un processo, più che un atto: essa è infatti un insieme di attitudini, atteggiamenti, modi di impostare il pensiero che si susseguono nel tempo mettendo in atto strategie che mirano alla sopravvivenza e alla continuazione della specie. Si parla infatti, soprattutto in contesti di guerra e calamità naturale, di “community resilience”, facendo proprio riferimento alla capacità di resistenza, recupero post-traumatico e creatività, che costituiscono i vari stadi del processo attraverso il quale le comunità sociali esposte ad eventi traumatici affrontano e superano la crisi. Quindi, sia in ambito psicologico che sociologico, la resilienza appare come un concetto dinamico, un processo trasformativo che porta dalla crisi traumatica alla rinascita e che, in qualche modo, permette di affrontare un percorso finalizzato alla scoperta, all’interno di sé stessi e della propria comunità, di una forza spesso insospettata che si acquisisce e va aumentando proprio nei momenti di debolezza, individuale e collettiva.