Negli ultimi giorni gli organi di informazione fanno sempre più spesso riferimento al rialzo dei tassi da parte della Fed: il 16 dicembre 2015 infatti la banca centrale americana dovrebbe decidere se modificare la sua politica moentaria; ormai tutti danno per scontato il fatto che quel giorno verrà stabilito il rialzo dei tassi e la cosa sta già manifestando i suoi effetti sui mercati: ecco quali sono le novità e le aspettative in vista di questa importante e attesissima data.
Rialzo tassi: perché ora?
Del rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve si parla già da diversi mesi: per molto tempo Janet Yellen non ha mai smentito del tutto le indiscrezioni che continuavano a susseguirsi e si limitava a confermare l’atteggiamento prudente della Fed. Inizialmente infatti si pensava che il ritocco dei tassi potesse avvenire a metà 2015, ma pare che ora i tempi siano maturi. L’obiettivo della Fed è quello di aiutare la ripresa dell’economia statunitense e di mantenere l’inflazione a livelli sostenibili; le decisioni vengono prese in base ad una serie di dati macroeconomici e proprio affidandosi al recente andamento di questi ultimi verrà presa la decisione di modificare la politica monetaria.
I dati macroeconomici che hanno convinto la Fed
Uno degli aspetti fondamentali che la banca centrale statunitense tiene in massima considerazione è il livello di disoccupazione; attualmente questo dato è al suo minimo degli ultimi sette anni e gravita intorno al 5%; l’obiettivo sarebbe quello di raggiungere il 2%, ma anche il livello attuale viene considerato ottimale per poter agire sui tassi, il cui rialzo dovrebbe ulteriormente stabilizzare l’economia americana. Uno dei motivi che non hanno permesso alla Fed di attuare la stretta sulla politica monetaria a metà anno è stata la volatilità dei mercati, legata alla svalutazione della moneta cinese: ora questa fase sembra essere superata. Con il mercato del lavoro solido e i mercati delle materie prime che si sono ormai lasciati il peggio alle spalle, anche i timori legati alla deflazione sono stati messi da parte. Un fattore che potrebbe rappresentare un freno ad un intervento sui tassi è rappresentato dal dollaro forte: la valuta statunitense, visto anche l’atteggiamento da “colombe” tenuto da altre banche centrali (come ad esempio la BCE o la BoJ), è al massimo degli ultimi otto mesi nei confronti delle altre valute globali, ma all’orizzonte non è previsto un ulteriore rafforzamento. In questi giorni sono stati diffusi i primi dati sulla stagione dello shopping natalizio iniziata con il black friday (ormai molto famoso anche in Italia) e le statistiche vengono ritenute soddisfacenti: le vendite al dettaglio hanno registrato aumenti superiori alle aspettative e anche questo sembra spingere verso l’aumento dei tassi, che sono fermi dal dicembre del 2008. Il ritocco sarà graduale e il primo passo sarà un aumento allo 0,25%, mentre per gli interventi futuri ci sono diverse ipotesi (si parla di uno 0,5 o 0,75% a marzo del prossimo anno): gli esponenti della Federal Reserve hanno sempre spiegato che l’istituto agirà in modo graduale per vedere come reagirà l’economia del Paese ad una politica monetaria più stretta.
Ipotesi sugli effetti della politica monetaria restrittiva
Naturalmente le decisioni prese dalla Federal Reserve non avranno effetti esclusivamente sull’economia USA, ma anche su quella globale. Innanzi tutto i Paesi che stanno cercando di svalutare il cambio per migliorare il loro saldo delle esportazioni (Giappone ed Europa in primis) sicuramente beneficerebbero di una rivalutazione del dollaro americano; questa però potrebbe anche causare una nuova svalutazione del petrolio e delle materie prime, innescata da una riduzione di domanda dalla Cina, che acquisterebbe questi beni utilizzando valute diverse. In più in Cina diverse aziende potrebbero andare in difficoltà: dato il loro debito in dollari, la loro esposizione debitoria aumenterebbe e questo potrebbe diventare un freno all’economia del grande Paese orientale, con conseguente riduzione della domanda di petrolio e materie prime; una cosa non molto positiva, visto che la Cina è il maggior “cliente” degli USA. Il prezzo basso del petrolio causerebbe qualche difficoltà per i Paesi produttori. Se il rialzo dei tassi non dovesse funzionare, la Fed potrebbe decidere di tornare su suoi passi per tornare ad una politica monetaria più espansiva.
C’è poi da valutare quali potrebbero essere le reazioni delle altre banche centrali. La BCE con la sua ultima manovra non ha accontentato nessuno (c’erano aspettative per un aumento monetario del QE, ma così non è stato), ma l’istituto centrale europeo si sta muovendo con cautela forse perché vuole tenere conto di quello che intenderà fare la Fed: la rivalutazione del dollaro, sommata ad un aumento monetario del Quantitative Easing potrebbe scatenare una crescita troppo rapida dell’economia nell’Eurozona, con molte possibilità di creare delle bolle. La Bank of Japan (così come le banche centrale di altri paesi in difficoltà) farà di tutto per spingere al ribasso la sua valuta ed approfittare della rivalutazione del dollaro per dare un nuovo slancio alla sua economia. Secondo le previsioni, la Bank of England invece farà passare come minimo un anno prima di applicare a sua volta un rialzo dei tassi. C’è incertezza su come si comporterà la PBOC, ovvero la banca centrale cinese: fino ad oggi ha fatto in modo che lo Yuan ricalcasse l’andamento del Dollaro americano, ma continuare questo tipo di condotta si potrebbe rivelare insostenibile.
Le aspettative sui mercati finanziari e il forex
Gli analisti di Goldman Sachs, in attesa di poter dare delle risposte più dettagliate e dei consigli di investimento, provano a spiegare cosa succederà sui mercati finanziari dopo il rialzo dei tassi; gli investitori devono rimanere tranquilli, soprattutto quelli che operano al di fuori del mercato a stelle e strisce: in passato i ritocchi verso l’alto dei tassi di interesse da parte della banca centrale americana hanno dato origine ad un importante rialzo del mercato azionario non statunitense. Si parla di rialzi importanti (10% nel giro di un anno dopo il rialzo dei tassi), di cui beneficerebbero prima di tutto i mercati asiatici (Giappone escluso). Ma gli stessi analisti per il momento mettono le mani avanti, dicendo che non è certo che anche stavolta si ripeta quanto accaduto nel passato: il mondo è profondamente diverso rispetto a dieci anni fa, i mercati sono più connessi tra loro e il livello di indebitamento (in particolar modo quello in dollari) è aumentato, senza dimenticare che la crescita globale ha un ritmo decisamente inferiore rispetto alla sua media storica.
In ambito forex invece, seppur la maggioranza degli operatori sia convinta che il dollaro nel prossimo anno aumenterà di valore, si sta facendo largo una corrente di pensiero secondo cui, una volta capito che il rialzo dei tassi sarà molto graduale, il trend rialzista del dollaro potrebbe vacillare.