Quando si parla di riforma pensioni uno degli argomenti più trattati è senza dubbio quello della flessibilità in uscita: torna prepotentemente di moda una delle alternative che nel corso degli ultimi mesi sono state proposte, ovvero quella del prestito pensionistico. Il ministro Poletti ha dichiarato che si tratta dell’unico provvedimento che garantirebbe la salvaguardia dei conti pubblici, attualmente sotto la lente di ingrandimento della Commissione Europea, che teme per il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati per il 2016.
Per Poletti il prestito pensionistico è l’unica soluzione che non intaccherebbe i conti dello Stato
Poletti è stato abbastanza chiaro su un punto: i margini per attuare una riforma pensioni sono ridotti al minimo, quindi si potranno mettere in pratica solo interventi e misure di carattere neutro dal punto di vista finanziario. Il pesante debito pubblico e il fatto che i risparmi prodotti dalla riforma Fornero siano già stati contabilizzati nel bilancio dello Stato per i prossimi anni non permettono di scostarsi da questi valori, visto che al momento non è facile individuare nuove coperture. Ed ecco i motivi per cui il prestito pensionistico sembra essere l’unica strada percorribile ed attuabile già entro il 2016.
Anche se sembra l’unica soluzione permessa dai conti dello Stato, bisogna anche valutare cosa comporta l’introduzione del prestito pensionistico in termini di costo sociale: i lavoratori che ne usufruiranno infatti dovranno restituire la somma che hanno ottenuto con un prelievo sull’assegno della pensione per sempre. L’ipotesi del prestito pensionistico era già stata ventilata in sede di discussione della legge di Stabilità, quando Giorgio Santini, capogruppo del PD al Senato, suggerì un prestito di 800/900 euro al mese per i disoccupati avanti con gli anni che non potevano contare su Naspi o Asdi, in modo da poterli accompagnarli alla pensione, a patto che poi restituissero la somma con dei piccoli prelievi sull’assegno. A molti questa idea non piace perché alla fine l’intero piano viene sostenuto dal lavoratore stesso e poi perché potrebbero beneficiarne solo i disoccupati che non possono contare su nessuno forma di sostegno economico.
Riforma pensioni, le ipotesi alternative per l’introduzione della flessibilità in uscita
Sembra che non ci siano molte speranze per le altre ipotesi elaborate da Cesare Damiano: flessibilità generalizzata per chi raggiunge i 62 anni e 7 mesi di età e i 35 anni di contribuzione con penalizzazione sull’assegno dell’8% e la Quota 41 per quanto riguarda i lavoratori precoci. Le proposte di Damiano sono comunque al vaglio della Commissione Lavoro della Camera, che sta valutando anche l’estensione in via strutturale dell’Opzione Donna, ovvero la possibilità per le lavoratrici di scegliere di uscire dal mondo del lavoro a 57 anni e 3 mesi di età più 35 anni di contributi in cambio del ricalcolo dell’assegno con il metodo contributivo.
Facciamo ora un breve riepilogo delle varie soluzioni proposte per introdurre la flessibilità in uscita:
- La flessibilità in uscita con penalizzazioni prevede la possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni e 7 mesi con 35 anni di contributi accettando una penalizzazione sull’importo fino all’8%: l’idea è d Cesare Damiano, ma anche Boeri ha avanzato un’idea abbastanza simile.
- L’estensione strutturale dell’Opzione Donna consentirebbe alle lavoratrici con un’età di almeno 57 anni e 3 mesi e 35 anni di contributi di uscire dal mondo del lavoro accettando il ricalcolo dell’assegno con il metodo contributivo (cosa che ridurrebbe l’importo di circa il 10/30%).
- L’estensione della facoltà di opzione al sistema contributivo consentirebbe ai lavoratori (anche uomini) di 63 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi di andare in pensione ottenendo un importo ricalcolato con il sistema contributivo e comunque non inferiore al valore dell’assegno sociale moltiplicato per 2,8.
- Il prestito pensionistico consiste in un prestito di circa 800 euro e della durata di 2 o 3 anni destinato ai disoccupati che non godono più di nessuna forma di sostegno del reddito come Naspi, Asdi, indennità di mobilità, Dis-Coll e così via; la penalizzazione consisterebbe in una riduzione dell’assegno di pensione del 4 o 5%.