Mario Pirani su La Repubblica del 22 dicembre attacca di nuovo gli “antieuropeisti” dipingendo a tinte fosche le conseguenze di una possibile rottura dell’euro e rinviandoci alla speranza di una rinnovata solidarietà europea che rilanci quella domanda aggregata senza la quale non v’è ripresa. Peccato tuttavia che le notizie che giungono dal fronte europeo siano di segno opposto.
All’esultanza di Saccomanni circa l’Unione Bancaria europea ha fatto riscontro lo scetticismo della maggior parte dei commentatori. Il risanamento delle banche resterà fondamentalmente a carico dei singoli Stati – quelli che se lo potranno permettere – mentre un fondo comune di dimensioni ridotte sarà costituito dalle banche medesime e pienamente operativo solo fra una decina d’anni. I privati saranno chiamati a contribuire alle perdite determinando ulteriore insicurezza nei risparmiatori, ma questo non è un problema per gli Stati ricchi che potranno ben accollarsi le perdite. A soccorso di chi proprio non ce la facesse, l’Europa potrà intervenire con il già costituito fondo di salvataggio European Stability Mechanism, ma non sostenendo direttamente le banche, bensì prestando agli Stati e imponendo loro le solite misure fiscali capestro. Gli Stati nazionali continueranno così a essere invischiati nelle crisi bancarie senza la rottura di quell’abbraccio mortale fra Stati in crisi e banche malandate solennemente promessa nel vertice europeo del giugno 2012.
Le banche sono peraltro piene di titoli pubblici e se durante l’ispezione dei bilanci bancari che la BCE compirà l’anno prossimo essi saranno valutati come titoli rischiosi, e non sicuri com’è stato sinora, questo produrrà danni sia ai bilanci bancari che alle finanze pubbliche, i cui titoli diventeranno meno appetibili per le banche. Eppure era stata la BCE a invitare le banche ad acquistare centinaia di miliardi di titoli pubblici per sostenere gli stati periferici. Si svela qui il tragico errore della politica monetaria europea, riconosciuto anche da importanti economisti di Francoforte. La BCE ha decentrato il sostegno dei titoli di stato alle banche, compito che le sarebbe invece proprio ma le è impedito dai Trattati, finendo così per intensificare l’abbraccio mortale banche-Stati (la cui altra causa è stata il soccorso fornito da alcuni stati alle banche impelagate nella crisi delle bolle immobiliari).
Il buon senso suggerirebbe che la BCE si occupasse finalmente del sostegno dei titoli pubblici, come richiesto dall’accorato appello pubblicato domenica su questo giornale, socializzando a livello europeo le crisi bancarie di altra origine. Nel vertice della scorsa settimana, per giunta, i tedeschi sono tornati alla carica con i cosiddetti “accordi di programma”, ovvero impegni inderogabili da parte degli stati in crisi a “riforme strutturali” in cambio dell’elargizione di non ben definiti “meccanismi di solidarietà”. La Merkel ne ha parlato anche nel messaggio di investitura al Bundestag. Di ciò per nulla si è parlato in Italia, eppure su questo Roma ha capeggiato il fronte di rifiuto di quello che è visto come un ulteriore diktat tedesco su cui Berlino tornerà alla carica. Cosa si deve sperare da quest’Europa?
Sappiamo meglio di Pirani quanto la problematica della rottura dell’euro sia delicata, più per le complicazioni per arrivarci senza sconquassi finanziari e con un consenso europeo che per le conseguenze ultime (peggio di quello che già ci aspetta…). A maggior ragione crediamo che il livello dello scontro con l’Europa vada alzato, in maniera costruttiva ma senza appelli a un europeismo senza fondamenti.
Fonte Il Manifesto (27 dicembre 2013)