Caso Shalabayeva: Interessi economici, casi politici, intrighi internazionali. Una trama perfetta.
Alma Shalabayeva ormai da quasi due mesi, quando da un giorno a un altro è stata messa con sua figlia Alua su un aereo privato austriaco, decollato da Ciampino alla volta del Kazakistan, nella casa di famiglia ad Almaty, è agli arresti domiciliari. La loro sorte è stata decisa in poco più di 48 ore da funzionari e tribunali italiani seguendo procedure, se non scorrette, quanto meno stranamente celeri e con modalità che, poco tempo dopo i fatti del 29 maggio, hanno fatto scoppiare quello che è definito: l’impasse kazako.
Quanto accaduto è ormai noto: la notte tra il 28 e 29 maggio una cinquantina di uomini della Digos fanno irruzione in una villetta di Casal Palocco, alla periferia di Roma, stanno cercando Mukhtar Ablyazov, uno dei principali oppositori al regime kazako – guidato fin dal 1991 da Nursultan Nazarbayev – che secondo l’ambasciatore dello stato centro-asiatico si sarebbe nascosto li. Non lo trovano ma decidono di arrestare comunque la moglie Alma Shalabayeva, considerandola un’immigrata clandestina in quanto in possesso di passaporto giudicato falso, passaporto diplomatico, rilasciato dalla Repubblica Centroafricana, che ne riportava il cognome da nubile. Alma Shalabayeva viene portata al Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria. A nulla le servirà dichiarare la propria identità e chiedere l’asilo politico. E a nulla servirà nemmeno il tentativo del suo avvocato, Riccardo Olivo, di presentare una dichiarazione giurata dell’ambasciatore competente sulla veridicità del passaporto. Il pomeriggio del 31 maggio Alma Shalabayeva e sua figlia vengono rimpatriate.
Una storiaccia umanamente deplorevole a cui mancano però personaggi ed eventi chiave per comprenderne la portata di potenziale intrigo internazionale.
Innanzitutto: Mukhtar Ablyazov, non solo principale dissidente kazako ma anche ex ministro del Kazakistan passato poi all’opposizione, fondando il partito Scelta Democratica. Condannato nel 2002 a 6 anni di carcere fu poi rilasciato dopo soli 10 mesi con la promessa che non sarebbe rientrato in politica. Promessa che non mantenne e che lo costrinse a trasferirsi nel 2003 a Mosca. Due anni dopo venne nominato presidente del Consiglio di amministrazione di BTA Bank. Perse però il controllo della banca nel 2009 a seguito di una nazionalizzazione per insolvenza della banca. Da allora su Ablyazov pende un mandato di cattura internazionale emesso da Almaty e Mosca per aver sottratto non meno di 4 miliardi di dollari all’istituto di credito. A Londra, paese in cui si è rifugiato, l’Alta corte ha negato la richiesta di rigetto delle pretese della BTA Bank, presentata da Ablyazov, poiché secondo la Corte l’uomo non può pretendere di far decadere un’accusa di appropriazione indebita con la giustificazione di un complotto ordito da Nazarbayev. In ogni caso il Regno Unito ha rifiutato la richiesta di estradizione, rischiando di compromettere, però, i propri rapporti con il Kazakistan e gli interessi che molte imprese inglesi hanno nello stato ricco di idrocarburi.
E poi ci sono le tante parti oscure della storia, quelle che La Stampa e altri quotidiani hanno portato alla luce trasformando il caso in un terremoto della nostra politica interna, che ha coinvolto i più importanti ministri del governo Letta. Buchi che nemmeno il Rapporto Pansa, redatto dal capo della polizia per permettere al governo di riferire in Parlamento, è riuscito a colmare. Le risposte che il 10 luglio Enrico Letta ha dato durante il question time hanno appurato che l’estradizione è avvenuta nel rispetto delle procedure formali. Ma il ministro degli Interni e vice premier sapeva o non sapeva? Pare di no. Chiedersi quanto sia normale che sia stata una questura a decidere su un affaire così delicato appare, quanto meno, legittimo. A cadere è stata la testa Giuseppe Procaccini, ormai ex capo del gabinetto del ministro Alfano.
E il ministro degli Esteri? Anche Emma Bonino viene chiamata a dare le sue spiegazioni ma nonostante la faccenda la “tormenti” la Farnesina per legge non è competente in materia di espulsioni, come non lo è riguardo a operazioni di polizia effettuate sulla base di mandati di cattura emessi dall’Interpol. Per la Cancellieri, invece, giudici e magistrati non hanno sbagliato in nulla, nemmeno nel non aver approfondito a sufficienza i reali risvolti della questione e nel non aver richiesto maggiori informazioni su Alma Shalabayeva e, ancor peggio, sulla bambina.
Una patata bollente che nessuno vuole e che nessuno pensa di meritare e che viene passata di mano in mano mentre si sprecano le voci di chi vorrebbe un caso montato ad hoc dai soliti antiberlusconiani – pare che il presidente kazako sia un amico del Cavaliere – e chi invece giudica moglie e figlia di Ablyazov merce di scambio. Sì, perché l’intrigo potrebbe essere nato per difendere i vari interessi di molte società italiane in Kazakistan. Prima fra tutte l’ENI che qualche anno fa ha scoperto in Kazakistan uno dei più grandi giacimenti rinvenuti negli ultimi anni, il Kashagan, per il cui progetto di sfruttamento l’Eni partecipa, nell’ambito del North Caspian Sea PSA, con il 16,81% delle quote. Inoltre, pare che Ablyazov sia in possesso di informazioni riguardanti i rapporti tra l’elite economica e politica kazaka e diverse compagnie petrolifere, che se svelate potrebbero inclinare molti equilibri sotto il peso della corruzione. Anche Finmeccanica e altre aziende hanno importanti interessi nel paese ex-URSS, del quale l’Italia è il terzo partner commerciale.
Quando poi a queste imprese possa giovare nei rapporti con i kazaki questo rumore scatenato dall’affaire sarebbe tutto da vedere. Così come sarebbe da vedere quanto il fatto che Ablyazov possa non essere solo un dissidente, ma anche un truffatore renda in qualche modo legittimo l’espatrio di Alma Shalabayeva e di sua figlia verso un paese che potrebbe utilizzarle come ostaggi. Interessi economici, casi politici, intrighi internazionali e le vite in pericolo di una madre e una figlia, la trama perfetta di un’altra storia di cui vergognarci.