La malattia di Parkinson, o morbo di Parkinson, appartiene ad un gruppo di patologie che fanno parte di un gruppo già ampio di patologie definite ‘’disordini del movimento’’. Nell’ordine di queste malattie è quella più diffusa. Un medico londinese del diciannovesimo secolo, James Parkinson, descrisse i sintomi della malattia nel diciannovesimo secolo e a lui ne fu collegato il nome. Sebbene poi in alcuni trattati risalenti ai tempi antichi vi è già traccia dei sintomi che denotano questo morbo.
Subito dopo il morbo di Alzheimer, quello di Parkinson è la malattia degenerativa già diffusa al mondo.
Il Parkinson, o morbo di Parkinson, è equamente distribuito in tutto il mondo e in tutte le popolazioni. L’esordio avviene solitamente intorno ai 60 anni ma in una percentuale molto bassa può avere anche un esordio giovanile.
Il morbo di Parkinson: i sintomi iniziali
Trattandosi di una malattia neurodegenerativa con evoluzione progressiva, non è così semplice fare diagnosi di Parkinson. E’ anche vero però che quando si entra nella fase sintomatica della malattia, il danno che consiste nella riduzione dei neuroni dopaminergici della sostanza nera è già in un range che va dal 50% al 70%. La fase presintomatica della malattia può durare anche vent’anni nei soggetti più giovani e dieci nei pazienti più adulti. L’esordio della malattia, infatti, è caratterizzato da una sintomatologia lieve spesso sovrapponibile ad altre patologie. Tra i segni premonitori, spesso sottovalutati, ne troviamo alcuni come la perdita dell’olfatto spesso accompagnata anche dalla perdita del gusto; disturbi del sonno che comprendono la sindrome delle gambe senza riposo e l’apnea notturna; patologie collegate all’apparato intestinale come la stipsi e il meteorismo o sintomi legati all’apparato urinario che comportano esitazione a urinare o incontinenza; la mancanza di espressione facciale: essendo coinvolti i muscoli facciali, vi è la conseguente perdita delle espressioni tipiche che coinvolgono il viso; un altro sintomo è la bradicinesia: la perdita dei movimenti spontanei in relazione, per esempio, alla scrittura che si presenta più piccola e più stretta.
Tra gli altri sintomi dell’esordio vi è un mutamento del tono della voce e della parola; l’impoverimento dei movimenti automatici, ad esempio un braccio oscillerà di meno durante la marcia, oppure l’instabilità posturale; l’eccessiva sudorazione spesso associata anche ad un eccesso di produzione di saliva dovuto più che altro a problemi di deglutizione piuttosto che di produzione vera e propria; cambiamenti di umore nei quali sono compresi il ritiro sociale e la depressione, difficoltà a mantenere la soglia dell’attenzione o l’incapacità a compiere contemporaneamente due o più azioni.
Diagnosi del morbo di Parkinson
A diagnosticare il morbo di Parkinson, sarà un medico neurologo esperto in disordini del movimento. La sua sarà inizialmente un’ipotesi di diagnosi basata sulla storia clinica raccontata dal paziente o dai suoi familiari in correlazione ai sintomi e ai segni neurologici espressi potrebbero essere utili una risonanza magnetica, una pet celebrale e una scintigrafia del miocardio. E’ sempre il neurologo che sceglie per quali di questi esami optare per rendere il più completa possibile la sua diagnosi. E’ molto importante in questi casi la scelta degli esami che il neurologo deciderà di fare, soprattutto per escludere altre patologie che nella fase iniziale sono sovrapponibili al morbo di Parkinson, tant’è che queste patologie vengono definite Parkinsonismi.
Durante la visita neurologica, il medico ricorre ad una scala di valutazione specifica per valutare la malattia di Parkinson detta UPDRS (Unified Parkinsons’ Disease Rating Scale) cioè la scala di valutazione unificata per la malattia di Parkinson. Questa scala si compone di quattro parti che indagano sull’aspetto mentale, sull’umore, sulle attività di vita quotidiana e sull’attività motoria. Le quattro parti della UPDRS valutano i vari segmenti corporei coinvolti in relazione alle limitazioni motorie. La scala risulta essere uno strumento importante nei confronti del singolo paziente e sull’andamento della sua malattia, ma può essere un utile confronto tra pazienti diversi in differenti studi clinici.
Il morbo di Parkinson è una malattia cronica, progressiva che ha conseguenza sulla qualità di vita coinvolgendo le attività motorie, comportamentali, cognitive e vegetative, ma se trattata adeguatamente può limitare solo di poco l’aspettativa di vita dei pazienti affetti.
Al giorno d’oggi, purtroppo, non esiste una cura specifica per il morbo di Parkinson. Sono disponibili però diversi farmaci e trattamenti che permettono di tenere sotto controllo e alleggerire i sintomi della malattia e quindi migliorare la qualità della vita del paziente.