Chissà se Pioli lo aveva previsto tutto questo ad inizio stagione. Lui, lo stratega, il cavaliere dall’armatura bianca senza macchia e senza paura, condottiero di un esercito biancoceleste, con un aquila come simbolo di fierezza e maestosità, che sta portando in alto una squadra che per troppo tempo ha dovuto guardare altri dal basso verso l’alto.
Troppi i bocconi amari buttati giù, troppe le delusioni ricevute, troppi i cuori infranti di un popolo che a questa squadra il cuore l’ha sempre consegnato con le proprie mani, ma che in cambio ha ricevuto ben poco. C’è voluto un uomo venuto da Parma per far brillare una squadra dalle radici nobili, di riuscire finalmente a far divertire la gente, capace di far sognare chi per lungo tempo non ha sognato.
Ma quello era il passato, ormai la verità è sotto gli occhi di tutti ed è una sola: la Lazio è il capolavoro artistico di questa stagione, un quadro dove tutti gli elementi si compensano alla perfezione. Una squadra bella da vedere, capace di imporre calcio ovunque essa si trovi, che mostra come alla fine nel calcio il gioco di squadra premia, in barba alle primedonne da 12 milioni l’anno.
E’ la Lazio di Felipe Anderson, primo violino di un orchestra sinfonica, capace di dare il là anche in partite dove il vecchio catenaccio si impone in tutta la sua maestosità. E’ la Lazio di Klose, il “vecchietto” che corre a perdifiato e segna come un giovincello. E’ la Lazio dei vari Candreva, Parolo, Lulic, Radu e di tutti gli altri che lottano, sudano, sgomitano per una maglia intrisa di 115 anni di storia.
Una macchina perfetta insomma, che non vuole smettere di funzionare. E se è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera…