Arriva nelle sale “The Front Runner – il vizio del potere” il nuovo film con Hugh Jackman, J K Simmons e Vera Farmiga, diretto da Jason Reitman e presentato come film d’apertura all’ultimo Torino Film Festival.
Fine anni 80, Gary Hart è il senatore che ha più possibilità di vincere alle prossime elezioni presidenziali del partito democratico negli Stati Uniti. In quel periodo non c’erano i potentissimi social di oggi e l’attenzione sui politici era prettamente data dai media. Gary riusciva a dividere la sua vita privata rispetto alla carriera politica tenendola lontano da giornalisti e commentatori, sino a quando, una notte gli crollava il mondo. Ma cosa era successo?
Recensione del film “The front runner, il vizio del potere”
Qual è il confine di libertà di un uomo pubblico? Un rappresentante dei cittadini può avere una vita privata, può avere il diritto di una privacy? I giornali fanno linciaggio mediatico o mera informazione?
Queste domande possono aprire dei dibattiti che durerebbero giorni, opinioni diverse, punti di vista opposti, che non mantengono mai un equilibrio. Recentemente il regista Fausto Brizzi è stato scagionato da alcune accuse che gli sono state rivolte da attrici che a volto coperto durante un servizio della trasmissione “Le Iene”, affermavano di aver ricevuto delle violenze da parte sua durante alcuni provini svolti a casa dello stesso Brizzi. Che voi le condividiate o meno non è il fulcro del discorso ma la trasmissione “Le Iene” stava facendo informazione o accanimento verso un personaggio pubblico?
Un altro esempio recente di film che poteva ispirarsi a questo tema è “Loro” diretto da Paolo Sorrentino. A più riprese abbiamo parlato in maniera positiva del film di Paolo su Silvio Berlusconi, però dopo la visione di questo film di Jason Reitman, riflettendoci ulteriormente, crediamo che il film di Sorrentino poteva essere un occasione per far pensare il pubblico riguardo la potenza mediatica data dalla stampa alle “cene eleganti” legate alla figura di Silvio Berlusconi, creando ancora più scalpore e dibattito più di quanto ce né già stato.
Reitman costruisce un film, partendo da come la stampa sia fondamentale nel comunicare riguardo la politica, sino ad introdurre il personaggio di Hugh, cercando di regalargli un’ulteriore occasione per ambire a una candidatura all’Oscar che purtroppo non è arrivata. Hugh, nonostante sia enormemente legato al personaggio di Wolverine con cui troppo spesso il pubblico lo codifica, cerca anche questa volta di uscire da quei panni regalando una buonissima interpretazione, ma non riuscendo in pieno nell’obiettivo. Il suo personaggio, al giorno d’oggi, risulterebbe antiquato e fuori tempo, un uomo che crede nel suo lavoro e cerca a tutti i costi di separare il suo privato. Dobbiamo ammettere che è stato molto bravo nell’interpretare un ruolo così complesso ma in realtà di Gary ciò che più ci ha impressionato, sono state le scene di dialogo con Vera Farmiga, la moglie. In quei momenti si respira la gusta tensione emotiva ricercata da Reitman in un momento fondamentale del film come quello. Un altro rapporto molto singolare è quello tra Hugh e JK Simmons che interpreta il suo capo di gabinetto che cerca di “tenere in piedi la baracca salvando il salvabile”. Simmons in questo film sembra molto adattarsi al protagonista seguendo il suo ruolo e le esigenze in favore di un attore come Hugh, tutto questo però non toglie al film un giudizio più che positivo, che lo rendono, nonostante la tiepida accoglienza all’ultimo Torino Film Festival, un film da vedere al cinema e su cui dibattere a lungo.