La questione dell’adesione della Turchia all’Unione Europea torna attuale
Si ritorna a parlare di ripresa dei negoziati sull’adesione della Turchia all’Unione Europea alla luce di quanto affermato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel prima e durante il suo viaggio nella nazione a metà tra Europa e Asia.
Le parole di apertura della Merkel sono arrivate il giorno prima della sua partenza, a fine febbraio, per il sud est turco e in particolare per Kahramanmaras, vicino al confine con la Siria, dove i soldati tedeschi sono impiegati a installare le batterie di missili Patriot, che dovranno proteggere il Paese da possibili ripercussioni della guerra siriana.
In realtà, nonostante un passo sia stato fatto, la Merkel non è esattamente a braccia aperte: “Conduciamo delle trattative senza che i risultati siano fissati in anticipo. Queste trattative – ha detto – sono andate a rilento negli ultimi tempi e sono favorevole ad aprire un nuovo capitolo affinchè possano avanzare un po’”.
Si tratta pur sempre di una svolta: l’adesione turca all’Ue è da sempre osteggiata dalla Cdu – Unione Cristiano-Democratica – partito del quale la cancelliera è presidente. Infatti, se all’opinione pubblica europea è da sempre stata propinata l’idea che i turchi avrebbero portato una pericolosa islamizzazione della nostra società, le vere ragioni di questa lunghissima attesa sono da ricercare soprattutto nella questione cipriota – ormai legata ai giacimenti petroliferi e non più a un mero discorso etnico interno all’isola – nell’ondata migratoria che investirebbe l’Unione e soprattutto nel fatto che un paese che conta 70 milioni di abitanti si ritroverebbe ad avere a Strasburgo un numero altissimo di parlamentari che gli attribuirebbe un peso superiore a quello di molti altri stati membri.
E se, come è stato calcolato, nel 2025 la Turchia supererà demograficamente anche la Germania risulta palese quali siano le ragioni della Merkel.
In ogni caso, il dossier Turchia è appena rientrato nell’agenda dei diplomatici europei, con il via libera alla proposta di discussione del capitolo 22 dei negoziati di adesione, sulle politiche regionali. Secondo la procedura, dopo la valutazione dello screening della Turchia sul capitolo 22, preparato dalla Commissione sarà Ankara a dover rispondere con un relativo piano d’azione, poi nuovamente sottoposto agli Stati membri.
Quindi il compito di Erdoğan e i suoi sarebbe quello di soddisfare le richieste dell’Europa. Ma la Turchia non è più quella di Ataturk. Il popolo turco è stanco di un’Europa che da sempre lo ha respinto e l’idea di un cambiamento che abbia come fine quello di attraversare finalmente le porte dell’Unione sembra improponibile da quando la crisi economica ha reso i nostri mercati instabile e poco appetibili per un’economia in crescita come quella turca.
Se a questo si aggiunge un’analisi della politica estera che Erdoğan e Davutoğlu, il suo ministro degli Esteri, hanno portato avanti negli ultimi anni, con la chiusura dei rapporti con Israele in testa, appare chiaro come il cammino verso l’Europa non sia l’unica strada che Ankara può prendere.
Proprio negli scorsi giorni, il premier turco, uso alle dichiarazioni scomode, nel corso di un forum delle Nazioni Unite tenutosi a Vienna ha paragonato il sionismo all’antisemitismo e al fascismo. Parole di fuoco che alla vigilia dell’arrivo di John Kerry, segretario di stato statunitense, ad Ankara non lasciano presagire una dimessa accettazione di quelle che saranno le richieste europee.
A questo si può aggiungere un’altra campagna portata avanti di recente dal governo dell’Akp: la restituzione dei bambini turchi dati in adozione a famiglie europee cattoliche. Il caso diplomatico sta per scoppiare tra Turchia e Olanda. Di mezzo la sorte di un bambino di 9 anni, dato in adozione a una coppia di lesbiche olandese. La questione non riguarda solo i bimbi dati a coppie gay, a prevalere è la salvaguardia e la conservazione dell’identità nazionale. Un bambino turco non deve crescere con genitori stranieri e in una famiglia non tradizionale.
Certo non un ottimo biglietto da visita con cui presentarsi alle porte d’Europa, aperte o chiuse che siano.