I giudici della prima sezione del Tar Piemonte sanciscono la “sufficienza del nesso probabilistico-statistico tra l’esposizione all’uranio impoverito e la malattia”, costringendo così il ministero della Difesa a rivalutare la richiesta di causa di servizio di un soldato 32enne. Inoltre, non saranno più i soldati a dover dimostrare il rapporto tra missione e patologia, bensì sarà obbligo del ministero della Difesa dover escludere scientificamente il suddetto nesso di causalità. Questa sentenza del Tar potrebbe rappresentare un precedente importante per gli oltre 2000 soldati italiani, affetti da forme tumorali al ritorno da missioni all’estero, che si vedono negare in prima istanza la richiesta del riconoscimento della causa di servizio.
Il giovane ha prestato servizio a Camp Mittica, in Iraq, da aprile a novembre 2006 partecipando ad attività di bonifica senza le adeguate misure di sicurezza. Il risanamento delle zone prevedeva l’esplosione di un elevato numero di ordigni, alle quali i militari dovevano assistere da piccoli rifugi, senza alcun riparo dalle polveri sottili che scaturiscono dagli armamenti all’uranio impoverito. Il soldato aveva anche lavorato come disinfettore nella base Unifil al confine tra Libano e Israele, dal 20 luglio del 2008 al gennaio del 2009. L’anno scorso, al rientro a casa, è arrivata la diagnosi di una rara patologia tumorale al pancreas, per la quale è ancora sottoposto a chemioterapia. Il militare ha fatto ricorso al tribunale Amministrativo in seguito alla negazione, da parte della Difesa, del riconoscimento della causa di servizio.
La sindrome dei Balcani, nota anche come sindrome di Quirra, continua a mietere vittime. I primi a denunciare la relazione di causa-effetto tra le missioni all’estero e l’insorgenza di gravi patologie sono stati, infatti, i soldati tornati dal Kosovo tra il 1995 e il 1998. Dalla fine degli anni ’90 ad oggi si sono verificati numerosi casi di insorgenza di forme tumorali, sia nel personale militare che nella popolazione civile, riconducibili all’esposizione a composti chimici di uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti. Dopo vent’anni, per la prima volta si sancisce che sarebbe l’incidenza numerica a rendere statisticamente plausibile la relazione tra uranio impoverito e patologie, e che spetta al ministero della Difesa dimostrare il contrario o riconoscere la causa di servizio ad un numero sempre più consistente di militari.
Ammesso che possa esistere un vero risarcimento per un bene insostituibile, rimane da capire quale sarà la prassi per i casi di civili affetti che non possono rivendicare nemmeno la causa di servizio.