“Patti” chiari e amicizia lunga. Breve cronistoria delle vacanze dei parlamentari italiani
E bravi i nostri parlamentari (PdL) che scorrazzano per i quarti del pianeta col saio dei devoti al bene comune, sulle lussureggianti spiagge a piedi nudi o in sandali di cuoio modello salentino, magari col cilicio a ricordargli che la carne deve essere mortificata, poiché è da essa che il male si genera, come da tempo ha dimostrato il loro padrone e signore di Arcore. Sarebbero da elogiare se non fosse che quei quarti di mondo sono ritrovo esclusivo di pochi. Hanno il nome di Seychelles o di Mauritius. Non hanno poggiato i loro venerabili piedi su quelle luminose spiagge con un pacchetto “all inclusive”. Infatti, ecco che spuntano fuori, grazie quegli splendidi segugi de L’Espresso, le rotte vacanziere (ma “vacanziere” è già parola fuorviante, poiché, quanto più per le somme spese, la parola implicherebbe una sorta di occasionalità da luna di miele o da fine rapporto dopo 40 anni di lavoro, con un pezzo di buonuscita a ripagare da tanti sacrifici).
No, meglio diremmo le rotte abituali trattandosi di weekend, di fuitine, di Pasque o Capodanni o Ferragosti. Habitué di luoghi ameni tra Golfo Aranci, la Grecia, Kihaad e Sharm el Skeik in suite vista oceano o mediterraneo. Ora il fatto non è tanto che vadano in villeggiatura, bensì che ci vadano a spese nostre o dell’imprudente Carmelo Patti, ex proprietario della Valtur (nel 2011 miseramente commissariata sotto il peso di un passivo da 300 milioni di euro). L’inchiesta de L’Espresso (sempre loro) finisce per dare conto delle folli spese – diciamolo pure mentre il Paese colava a picco – per soddisfare i loro momenti d’evasione (da cosa poi è difficile capire) a botta di migliaia di euro cavate dalle “loro” tasche o elargite sotto forma di generosi sconti dal signor Patti (chissà poi perché).
Le vergognose cifre denunciano un’inadeguatezza e un’irresponsabilità (eufemismi) comportamentali davanti ai tanti (troppi) messi alla fame dalla crisi economica, alle aziende che chiudono, ad imprenditori che si suicidano, ai giovani costretti ad imbarcarsi sui ferry-boat non per ragioni turistiche, ma per emigrare alla ricerca di un lavoro così da non morire d’inedia o da divorare il poco che resta alle proprie famiglie. Ai nostri politici raccomandiamo almeno di villeggiare in Italia, magari in località meno “in”. Non solo risparmierebbero (risparmieremmo), ma eviterebbero di offendere chi, giacché si sgolano e si sbracciano nel sostenere la morigeratezza dei costumi, l’equità, i sacrifici, il rigore, a certi lidi non può approdare né col proprio portafoglio né grazie agli omaggi altrui.