Le cifre provocate dal fenomeno della violenza sulle donne, che in tutto il mondo (Italia compresa) tra prostituzione e femminicidi continua a lanciare seri allarmi. E’ per questo che andremo anche ad approfondire riguardo le iniziative per mettere fine ad episodi violenti, specialmente nei paesi africani e dell’America Latina dove i numeri sono ancor più amari.
Due settimane fa, per l’esattezza il 25 novembre, si è celebrata in tutto il mondo la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. La data simbolica è stata scelta per commemorare il terribile assassinio delle tre sorelle Mirabal avvenuto durante il regime domenicano di Rafael Leonidas Trujillo nel 1960. Per ricordare tutte le donne vittime di violenza, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituzionalizzato questa giornata dal 1999.
In occasione di questo importante evento è stata indetta una conferenza stampa a New York in cui Michelle Bachelet, Vice Segretario Generale e Direttore Esecutivo di UN Women, ha affermato che, sebbene ci siano stati molti progressi nelle politiche nazionali volte a ridurre la violenza sulle donne, ci sono ancora molte cose da fare. In quasi cento paesi non è ancora stata creata una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del 70% delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini.
Violenza sulle donne, cifre da brivido in tutto il mondo
Rispetto a quanto si vede in giro per il mondo, in Italia i numeri sono drasticamente più ridotti sotto questo delicato aspetto, ma nonostante l’ultimo report Istat abbia evidenziato dei miglioramenti rimane necessario continuare a combattere dei fatti assurdi, che vanno combattuti fino ad arrivare allo zero più assoluto, perché la percentuale recentemente scesa all’11,3% (rispetto al 2010) non deve bastare.
In Brasile ogni 15 secondi una donna subisce un abuso in un luogo pubblico. Sempre qui, tra il 2001 e il 2011, sono stati registrati oltre 50.000 casi di femminicidio, la maggior parte dei quali avvenuti a seguito di violenze domestiche.
In Nepal, in un solo anno (tra il 2012 e il 2013), il WOREC (Women’s Reabilitation Center) ha registrato 793 casi di omicidio, 22 casi di tentato omicidio, 32 casi di traffico per prostituzione o lavoro forzato e 55 casi di violenza sessuale nei confronti di soggetti di sesso femminile. Nello stesso paese, tra le 5 mila e le 12 mila ragazze vengono costrette a prostituirsi e il 75% di queste ha meno di 18 anni.
In Cambogia invece molte giovani donne sono costrette a far crescere i propri figli dai genitori perché obbligate a lavorare anche 19 ore al giorno nelle fabbriche per lo più tessili, principale business del paese.
In Kenya, invece, molte bambine sono costrette a rovistare nelle discariche locali per racimolare piccoli oggetti di plastica da poter rivendere. Nelle discariche le violenze su di loro sono all’ordine del giorno e la violenza di genere è un problema molto grave nel Paese: il 55% di coloro che sopravvivono alle violenze di genere hanno meno di 15 anni di età e l’83% sono bambine.
Le iniziative per dire no alla violenza
Non si tratta di numeri astratti, ma di fatti reali che purtroppo colpiscono molte donne nel sud del mondo. Alcune testimonianze sono raccolte in un dossier realizzato da Actionaid intitolato “La città proibita – le donne e lo spazio urbano”. Il dossier riporta alcune storie emblematiche che hanno i volti di Tikdem, Furaha, Cleonice e Bopha. Queste donne hanno sperimentato sulla loro pelle cosa significa essere prigioniere della propria città, non potersi muovere liberamente per le vie del centro, essere molestate sull’autobus che le porta all’università o al lavoro, dover reprimere la propria femminilità in ogni cosa.
Questo dossier rientra nel più ampio progetto Safe Cities di Actionaid, che ha lo scopo di fermare la violenza sulle donne soprattutto nei luoghi pubblici. Perché azioni di vita quotidiana come andare a scuola o al lavoro, avere un’attività in proprio, passeggiare per la città di sera, non debbano più essere dei privilegi, ma la normalità.
È attraverso l’istruzione e il supporto economico che bambine in difficoltà possono diventare ragazze e donne coraggiose e indipendenti. Ricordate la storia di Malala, ormai icona del diritto universale allo studio contro l’estremismo religioso? Ecco, questo dovrebbe diventare la normalità per tutte le donne e per raggiungere questi obiettivi così importanti è necessario intervenire con progetti specifici come appunto Safe cities, magari uniti a buone azioni come l’adozione a distanza, che permette a bambine nate in contesti poveri e culturalmente degradati, di potersi costruire un futuro migliore con i giusti mezzi economici e intellettuali.
Come afferma la poetessa e sostenitrice dei diritti delle donne Adrienne Rich, aiutare a prendere consapevolezza delle proprie possibilità e dare i mezzi necessari per usufruire dei propri diritti è la cosa più importante che una donna possa fare per un’altra. È altresì fondamentale che tale consapevolezza nasca fin da subito, dalla prima infanzia e per fare ciò è necessario il contributo di tutti.